Kiwi, in Trentino è crisi. Produzione 2016 a rischio

Il cancro batterico non ha cura: una volta infettata dal morbo la pianta deve essere estirpata e bruciata

di Chiara Turrini

Non solo uva e piccoli frutti. Se lo zoccolo duro della produzione agricola è messo in crisi da parassiti e funghi (senza contare le grandinate per i meleti), la nicchia del kiwi sta soffrendo dello Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa), altrimenti detto cancro batterico della actinidia. Si tratta di una malattia da quarantena, per la quale non esistono cure ma solo soluzioni drastiche come l'estirpazione della pianta e il fuoco. Lo scorso anno si erano registrati sei casi in tutta la stagione, mentre nel 2016 le segnalazioni sono già oltre la ventina, e ci sono diversi mesi ancora davanti prima dell'autunno. La Psa è il «colpo di fuoco» dei kiwi: la pianta si secca e muore. Il batterio però può sopravvivere in quiescenza per un paio di anni nel terreno circostante. I sintomi sono riconoscibili.

Già in inverno e inizio primavera sul tronco e sui germogli si manifestano cancri da cui fuoriescono essudati prima di colore biancastro e dopo rosso ruggine. Il legno giovane riceve una colorazione bruna, spesso si osservano anche disseccamenti dei rami e dei giovani germogli. Nel seguito si manifesta l'imbrunimento dei fiori e dei boccioli. Sulle foglie si formano necrosi di forma irregolare di color marrone scuro fino al giallo. I frutti delle piante malate iniziano ad avvizzire. Il batterio non ha alcun effetto sull'uomo, né su altri tipi di piante. Solitamente il freddo e l'umidità aiutano la proliferazione del batterio del cancro che affligge la coltura del kiwi, ma stavolta nonostante l'inverno mite l'attacco si è rivelato comunque un flagello. 

Come la drosophila suzukii che colpisce ciliege e piccoli frutti, anche la Psa ha origini estere (viene dal Giappone, attestata a partire da fine anni ?80) ed è arrivata in Italia di recente, insieme a una partita di kiwi contaminata. I primi casi risalgono al 2007, con l'epidemia che ha messo in ginocchia la produzione laziale di Latina, patria italiana della actinidia. L'Italia è uno dei maggiori produttori a livello mondiale di questo piccolo frutto peloso.

I primi casi trentini si sono verificati a Tenna, per poi espandersi a macchia di leopardo un po' in tutti i 70 ettari coltivati a kiwi in provincia. L'area delle colture si estende tra Trento sud e l'Alto Garda. Non si tratta di una produzione principale, spesso è un complemento che destagionalizza l'attività, ancillare ad altre colture. Poco impegnativa e a basso mantenimento, la actinidia non di rado trova posto nei cortili come pergola ombreggiante. Il Trentino meridionale è una zona vocata al kiwi, ma, dicono i tecnici, forse è il caso di usare il verbo al passato.

Non solo la mancanza di cure al cancro batterico, è difficile anche attuare misure preventive. L'impostazione degli impianti non rende agevole l'ingresso dei macchinari che spargono i trattamenti, spesso non è praticabile neppure la prevenzione con il rame, uno dei pochi rimedi ad ampio spettro. «Negli ultimi anni stiamo assistendo a un cambiamento epocale, una fase come tante tra quelle per cui passa l'agricoltura - dicono i tecnici provinciali del servizio agricoltura - il clima muta e al contempo i trattamenti e la prevenzione diventano obsoleti. Non resta che cercare di monitorare la situazione per vedere come si svilupperà questa malattia da quarantena».

Non resta che attendere l'evolvere della stagione agricola 2016, al termine della quale si potranno calcolare i danni.

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