Quando il giornalismo si trasforma in offesa

Un lettore - ex giornalista - ci scrive una lettera sulle offese a Draghi per un lapsus. E gli risponde il nostro Direttore, Alberto Faustini.

Quando il giornalismo si trasforma in offesa

Caro direttore, leggendo i giornali nazionali in questi giorni, per uno come me che si è nutrito di parole per oltre 40 anni, sta diventando, credimi, sempre più una sofferenza, quasi un disagio. Lascia infatti l'amaro in bocca constatare come, sia da destra che da sinistra, si vada ben oltre il diritto alla critica, espressione della sacrosanta libertà di pensiero sancito dall'articolo 21 della nostra Costituzione, sconfinando, a mio avviso nell'insulto, spesso personale, pesante e oltremodo cinico. Mi riferisco, ovviamente, alla cronaca dei fatti politici contingenti, in particolare ai commenti sul nuovo governo Draghi. La mia critica riguarda la dichiarazione programmatica presentata dal presidente del consiglio incaricato prima al Senato quindi alla Camera. Ebbene, in particolare i commenti all'intervento del responsabile del governo, che penso abbiano oltrepassato la linea di demarcazione del buon gusto, sfociando in veri e propri epiteti pesanti e gratuiti, al limite della meschinità. Il caso che pongo alla tua attenzione, caro direttore, esce dalle pagine de «La Verità» diretta da Maurizio Belpietro, giornale che tutto sommato, anche se ha sempre avuto una posizione molto critica nei confronti di tutto quello che non si colloca nella cosiddetta destra pura, ha un suo giusto ruolo di bilanciamento nei confronti di altra stampa di sinistra e dintorni (vedi «Fatto Quotidiano») che demonizza e ridicolizza per sistema gli avversari. Un ruolo di contrapposizione che deve comunque avere, come si usa dire in termini meccanici, un limite strutturale, una parvenza di onestà intellettuale (chiamiamola pure etica professionale). Ma vengo al caso specifico, ovvero al corsivo presente nell'edizione di giovedì 18 de «La Verità», inserito nella cronaca del discorso programmatico pronunciato da Draghi al Senato. Poche righe (il titolo era «Il premier dà i numeri sui ricoveri»), scritte con la penna intinta nella cicuta, per sottolineare maliziosamente che Draghi era incappato nella prima gaffe ufficiale per aver detto, preso da comprensibile emozione, che gli ammalati di Covid 19 in terapia intensiva erano 2 milioni invece che duemila. Un banale, umanissimo lapsus... "matematico" in una selva sconfinata di numeri e percentuali. Ma per l'autore del corsivo: «Se il capo del governo che deve portarci fuori dalla pandemia - si leggeva nel commento - dà i numeri sui numeri con i quali tutti abbiamo dimestichezza, il segnale non è proprio incoraggiante». Per fare un paragone, caro direttore, è come se un lettore condannasse un tuo corsivo non per quello che vuoi dire, ma solo perché tra le righe spunta un banalissimo refuso. È giusto criticare quello che un uomo di governo dice e soprattutto promette, ma mi sembra meschino aggrapparsi a un banale inciampo di lettura per paventare l'inaffidabilità di un premier che mezzo mondo sicuramente stima, dall'Occidente fino alla Cina. Se proprio si voleva far della satira pungente sulla gaffe di Draghi, si poteva usare un tono meno invasivo. Un esempio? «Martin per un punto perse la cappa - recita un vecchio adagio - e Mario Draghi per colpa di un punto spostato ha confuso migliaia con milioni: un impietoso contrappasso che colpisce anche i grandi nel mondo monetario vittime dell'arida legge dei numeri». Come diceva il mio vecchio maestro Piero Agostini... è sempre questione di stile.

Riccardo Bucci


 

Libertà di espressione, libertà di scelta

Vero: è questione di stile. Premesso che è ridicolo prendersela con chi fa un po' di confusione (capita a tutti) per l'emozione (gran bella cosa, fra l'altro, vedere un uomo che ha visto tutto, come Draghi, che ancora sa emozionarsi in quell'aula), cerco di fare un ragionamento un po' più ampio. L'articolo 21 - che garantisce la libertà di esprimersi, certo non la libertà d'offendere - è in fondo tutelato ogni giorno dalle edicole. Mi spiego: l'offerta è tale e tanta, per fortuna, che ogni lettore può davvero decidere che giornale "indossare". Uso questa parola non a caso, perché più d'uno tende ormai a prediligere l'informazione sartoriale: meglio navigare sui siti "amici" e leggere solo giornali che la pensano come noi che sforzarsi di pensare o di confrontarsi con opinioni diverse dalle nostre. In tal senso, io ho la grande fortuna di dirigere un giornale locale, che per definizione ha il dovere di ascoltare (e di dare spazio a) tutti. Ma offrire a tutti la possibilità di esprimersi, ospitando anche interventi molto diversi fra loro, non significa certo sparare su qualcuno (Draghi, ma non solo) perché si confonde per l'emozione. Una cosa cerco di ricordare ogni giorno: noi parliamo a persone di persone. Rimettere la persona al centro ogni giorno, significa rispettare chi è protagonista di ogni fatto di cronaca e chi quel fatto lo legge. Evidentemente - e lo dico anche ai tanti maestri che vedo in giro - non tutti la pensano come noi, caro Riccardo, e pensano ancora che per farsi sentire serva gridare (e offendere) e che le persone vadano colpite nei loro punti deboli, mentre inciampano. Ma in edicola si può sempre scegliere. È come quando abbiamo in mano il telecomando: si può cambiare canale e si può persino spegnere la tv.

lettere@ladige.it

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