Tiriamo fuori i ragazzi dai domiciliari

Riaprono le scuole superiuori, ma le restrizioni hanno avuto effetti devastanti sui nostri giuovani, attaccati al computer 10 ore al giorno. La lettera di un paopà trentino, e la risposta del Direttore.

Tiriamo fuori i ragazzi dai domiciliari

Non è importante che la scuola inizi oggi, può iniziare anche il 15 o il 20 gennaio, ma deve riprendere poi e rimanere aperta e serena, al cento per cento, non sacrificando più la crescita e lo sviluppo dei ragazzi.
Abbiamo davanti a noi la primavera, da febbraio a tutto giugno si può fare scuola, possono rinascere i ragazzi, devono uscire di casa, vivere.
Lo sanno i decisori che ci sono centinaia di ragazzi che non escono più di casa, attaccati ad un pc con connessione 10 ore al giorno, per passare poi a tablet e smartphone, rigorosamente isolati nelle cuffie, per seguire Netflix od altro? E meno male che ci sono questi mezzi per connettersi al mondo; tuttavia, in questo modo coltivano sogni che sono frustrazione nell’impossibilità di darvi corso, non possono resistere.
Non fanno più sport e attività sportiva di gruppo, non sentono più l’adrenalina della partita di pallavolo del sabato o della domenica, della partita di calcio, della gara di sci o di nuoto, dell’incontro o torneo di arti marziali, niente di niente. Da mesi, dimenticati e additati come il problema.
Non si lamentano, perché si sono adattati così, non sentono magari la mancanza della loro vita, perché l’adolescenza, periodo difficilissimo, li fa sentire anche bene così, riparati in casa, nascosti. Ma non è la loro vita, che li sfida e per questo li fa crescere.
Sono il futuro, sono il nostro futuro, perché li trattiamo così? Ti prego direttore, utilizza il tuo giornale per avviare una campagna di ascolto. Aiutiamo questi ragazzi a mantenere la voglia di uscire, di abbracciarsi, di innamorarsi, di litigare, di andare a scuola, fare una passeggiata, ridere e scherzare.Tiriamoli fuori dai domiciliari a cui li abbiamo condannati.

Nicola, un padre


 

Ma quanto vale, in Italia, l’istruzione?

Caro Nicola, oggi si torna a scuola. Finalmente. In ordine sparso, però. E non certo al cento per cento, come ben sai. A questo punto è però lecito chiedersi quanto valgano, in Italia, beni come la salute e come l’istruzione. Da sempre, nel nostro Paese, la sanità ha un problema di organico e un problema di strutture. Ma nemmeno la pandemia ha convinto il Paese a cambiare atteggiamento. Diversamente, si sarebbe usata l’estate in modo diverso. Non per spostare di qua o di là le stesse persone: le residenze sanitarie per anziani - lasciami partire da qui, visto che questa è l’altra grande emergenza - sono state infatti indebolite anche dalla scelta di far migrare una parte del personale verso gli ospedali. Ed è lecito farsi domande sulle privatizzazioni spinte, sui continui tagli e sull’idea che questo comparto possa essere considerato alla guisa di un’azienda (persino nel nome) e non di un servizio. In Italia il diritto alla salute è sancito dalla Costituzione: è reale e quotidiano. Ma è un diritto che andava esteso: si doveva fare di tutto per adeguare le strutture, per intercettare personale, per impedire che il covid facesse diventare poco importante ogni altra malattia, ogni altra operazione, ogni altro problema. Invece s’è fatto poco.
L’Istat dice che il 2020 s’è chiuso con 700 mila morti (oltre mille nel solo Trentino). Come il 1944. Ma allora c’era la guerra. E l’Italia aveva 15 milioni di abitanti in meno.
Ancor più incredibile, e cerco di risponderti, la questione dell’istruzione. Le aule non sono il luogo del contagio. Le scuole, alla faccia di banchi a rotelle e altre idee curiose, si sono organizzate al meglio. Ma solo ora si lavora ad una vera rivoluzione che vada dai trasporti (il Trentino s’è molto impegnato) agli orari d’ingresso e d’uscita (tema che il Trentino ha sostanzialmente ignorato). Nessuno ha però usato l’estate per mettere mano ai tempi della società, al nostro modo di vivere e di muoverci (non serve un fenomeno per vedere che ci muoviamo quasi tutti alla stessa ora, percorrendo tragitti simili). La didattica a distanza, poi, era un problema a marzo e lo è, quasi in egual misura, ora. C’è stata qualche iniziativa, ma chi era indietro mesi fa, è rimasto indietro. E il discorso non cambia se si parla di università: ci sono encomiabili eccezioni, ma chi è rimasto tagliato fuori non recupererà più il terreno perduto. Temo - e in parte già colgo - una regressione culturale e sociale. Vogliamo poi collegare al concetto di istruzione quello di cultura? I teatri, i cinema, i luoghi dove gli unici assembramenti pericolosi sarebbero stati quelli di idee, sono stati considerati i più pericolosi. E chi è impazzito per attrezzarsi al meglio, è stato bellamente ignorato. In Italia c’è chi continua a pensare che istruzione e cultura si possano fermare per mesi. Nessuno - e chi ci ha provato è stato anzi richiamato - ha pensato di fare scuola all’aperto (non in questi giorni di neve e di gelo ovviamente), nelle palestre, nelle caserme ormai vuote. In pochi hanno puntato sul teatro nelle piazze (anche in questo caso chi ci ha provato è stato più criticato che imitato). Ora sono arrivati finalmente i vaccini, ma già si teme l’arrivo della terza ondata, per così dire “aiutata” dal Natale. Oggi per fortuna - seppur a scaglioni - si ricomincia. Trento e Bolzano hanno avuto il coraggio di accelerare (al quale, come ci ricorda il fisico Battiston, bisognerà però affiancare il coraggio di frenare, se la situazione dovesse di nuovo peggiorare). Ma s’è perso davvero troppo tempo. E resta incomprensibile che un Paese “protegga” il calcio, tanto per fare un esempio trito e ritrito, più della scuola. Per ragioni diverse, perdiamo (spesso senza poterli salutare) gli anziani e rischiamo di far perdere un pezzo fondamentale della vita anche ai nostri giovani.

lettere@ladige.it

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