'Se le cose non cambiano perdiamo la guerra'

(ANSA) - ROMA, 07 OTT - Donbass. Una casa diroccata. Le linee russe a 2-3 chilometri. L'artiglieria romba. Nello scantinato l'unità di ricognizione dell'11esimo battaglione della 59esima brigata monitora il fronte coi droni. Per terra tappeti ornati orientali, ai muri schermi al plasma da un delirio di pollici; sui tavolacci pistole sovietiche, cartine geografiche e tazze di tè. La sensazione è quella di stare in una scena di Terminator girato però a Samarcanda. "FPV kamikaze verso le nostre postazioni", allerta via radio un ufficiale ucraino. "Ok, attiviamo le contromisure". E si va avanti così, in una snervante partita a scacchi sino a che non si muovono i pezzi pesanti. Vadim comanda l'unità. Nella fondina ha una TT del 1936. "Ancora molto precisa sui 100 metri", assicura. Nonostante gli aiuti miliardari scuciti da Usa e Ue si combatte a volte con articoli da museo. "Non bastano mai", si lamenta Vadim. "Ho perso 29 droni in un mese, fatico a rimpiazzarli". E senza occhi nel cielo non si corregge il fuoco di obici e mortai, non si scovano le sortite nemiche, non si vedono i macchinari per intralciare le comunicazioni: è quel conflitto di attrito 2.0 di cui parliamo da mesi, il mix tra 'Niente di nuovo sul fronte occidentale' e 'Star Wars' che sta riscrivendo i manuali militari. Gli ucraini hanno messo a segno un buon colpo a nei pressi di Pisk, nel quadrante di Donetsk - sugli schermi di Vadim la vedi chiaramente, coi grattacieli sullo sfondo. Una posizione strappata ai russi. Pochi metri, una bandierina cambia di posto sulla cartina, manciate di vite perse da una parte e dall'altra. Poi si ricomincia da capo. Lasciamo il covo ucraino vicino alla linea zero per tornare a distanza di sicurezza, nelle retrovie. Proprio mentre corriamo a rotta di collo esplode una gomma del pick-up. Ci nascondiamo allora in un cortile, Oleksy e Andrei la sostituiscono al volo, ripartiamo in massimo 10 minuti. "Uff, è andata bene", sfiata Andrei, un passato nelle forze speciali, tre figli che lo aspettano a casa e cinque concussioni riportate in combattimento con altrettante riabilitazioni in ospedale. "La più dura è la prima, poi se riesci a fare pace con te stesso e superarla il resto scorre più facilmente", confida. Andrei invece è il suo comandante. Davvero un bel tipo. Massiccio, fortissimo a scacchi, provatissimo da oltre un anno e mezzo di servizio ininterrotto, prestato da volontario. "Mi sono arruolato, di nuovo, dopo il 24 febbraio perché così pensavo di poter dare tempo ai rinforzi di arrivare. Invece non è arrivato nessuno e sono ancora qui", racconta. "Ti chiedi se non sono stanco? Ho militato a Nikolayev, Kherson e ora nel Donbass. Sì, direi che lo sono". Andrei è sempre serio, lo daresti quasi sul punto di perdere il controllo da un momento all'altro invece ha i nervi saldi e, se capita, il sorriso radioso di un ragazzo al mare. Non è esattamente chiaro quali siano i suoi compiti, resta molto sul vago quando ne parliamo, poi però si prende bene e mi mostra dei video sul cellulare di un drone terrestre cingolato sgancia-mine e altre diavolerie. "Roba mia", afferma orgoglioso. "Sì sì, scrivi pure del cingolato, sta già su internet, il resto zitto". I militari ucraini si fidano tanto dei giornalisti stranieri, parlano molto, con sorprendente trasparenza. "Se le cose non cambiano, se voi occidentali non ci aiutate di più e se non si trasforma il modo di operare del nostro esercito, questa guerra la perdiamo", dice esattamente così Andrei. Ecco, degli occidentali si sa. Il ritornello è sempre lo stesso: 'Grazie ma non basta'. Esempio banale. "La dottrina americana prevede prima di colpire con i missili da crociera, poi con l'aviazione, poi con le truppe di terra. Bene. Noi non abbiamo i primi due", spiega Andrei. "La controffensiva è lenta? La facciamo a mano, per così dire. E noi ci teniamo alla vita della nostra gente, non come i russi che mandano i soldati a morire a migliaia: nessuna generale Nato sano di mente lo avrebbe fatto". Sui problemi interni invece si sa meno. Andrei non si tira indietro. "C'è troppa burocrazia, ci metto mesi per avere un drone... e non è così roseo come dicono in tv, che attacchiamo e i russi scappano". La tenuta del fronte è una preoccupazione viva quaggiù. 'Cosa accadrà se i russi sfondano e ci ricacciano oltre il Dnipro?' è la domanda che serpeggia tra gli ufficiali. Cioè, l'Occidente lo ha capito che questa è una guerra anche sua oppure no? "L'Ucraina è il primo pezzo del domino, se cadiamo noi viene giù tutto, guarda cosa succede in Azerbaigian", dice ancora Andrei. Irina annuisce. È medico e presta volontariamente servizio al fronte per insegnare ai soldati come reagire in caso di ferite gravi. "Le potenze firmatarie del trattato di Budapest dovrebbero aiutarci e basta: abbiamo rinunciato alle atomiche e ai bombardieri per quel pezzo di carta", accusa. È furente. "La meglio gioventù ucraina sta morendo nelle trincee o ci sta perdendo il senno". Ma per chi, esattamente? (ANSA).