«Ai Weiwei, opera a Trento» la conferenza stampa fake è una performance d'arte

di Fabio De Santi

Il grande artista cinese Ai Weiwei pronto a smontare un’intera fabbrica a Shangai per rimontarla poi in quel di Spini di Gardolo con ben cento operai in azione ma anche un tunnel sottomarino da Agrigento a Cartagine per unire in maniera più profonda la cultura italiana a quella africana. Queste alcune delle improbabili notizie lanciate sabato mattina nella particolare performance, nella forme della conferenza stampa «Future Ruins», voluta per la riapertura del Palazzo delle Poste di Trento a tredici anni da Manifesta 7, la Biennale europea di arte contemporanea.

Un’iniziativa dallo stampo decisamente situazionista che rientra nell’ambito del progetto «Atlas Curae», ideata da Museo Wunderkammer e legata alla presentazione della prima edizione di «Future Ruins. Feeling and spleen» una sorta di immaginaria Biennale d’arte contemporanea (quindicennale) ospitata a Trento. Nel gioco di specchi della performance, oltre agli ideatori Giusi Campisi e Luca Bertoldi, hanno preso parte Valentina Casalini, Lorenzo Danieli, Adel Jabbar, Leeanne Minter, Adriana Paolini, Francesca Testa, Alberto Winterle e Gigi Zoppello; così sono finiti per essere parte della performance anche i rappresentanti della stampa e i lavoratori della cultura.

L’argomento di Future Ruins è quello legato all’uso dell’evento d’arte contemporanea come strumento di colonizzazione culturale e di capitalizzazione urbana. Nella performance rappresentazione e realtà si sono cosi incontrare in un movimento circolare tra pubblico e privato, tra memoria e costruzione di immaginari futuri. «Future Ruins - spiegano i promotori dell’iniziativa - intende aprire una riflessione su quei beni culturali che diventano rovina a causa del conflitto tra interessi pubblici e privati, sulle politiche territoriali basate sulla produzione di eventi, che, quando sopravvivono brandizzano la città, e, quando falliscono, lasciano precariato e rovine».

La performance alle Poste si è sviluppata in due fasi, la prima ha previsto la creazione di un gruppo di lavoro formato da persone che nella performance hanno interpretato se stesse o un ruolo contiguo all’ambito culturale e professionale di provenienza. Il gruppo ha lavorato a partire da un contesto definito da Museo Wunderkammer, all’interno del quale i singoli interventi sono stati quindi declinati dai partecipanti in modo soggettivo. La seconda fase della performance ha coinvolto tutto il gruppo di lavoro insieme ai presenti in sala. Secondo i tipi di Museo Wunderkammer, un progetto collettivo nato nel 2014, «la dislocazione concettuale che avviene tra i registri di reale e immaginario permette di aprire una riflessione critica sul conflitto tra l’istituzione e la città, tra le politiche globali dell’evento e gli immaginari individuali». FDS

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