La nostra intervista a Davide Van De Sfroos oggi a Trento con il suo "Tour De Nocc"

di Fabio De Santi

E’ appena uscito il suo nuovo libro, “Ladri di foglie” , pubblicato da La Nave di Teseo, ma accanto alle vesti di scrittore Davide Van De Sfroos non dismette mai quelle di cantautore. Il nuovo anno del musicista lombardo si apre con il  “Tour De Nocc” che vedrà in scaletta, oltre ai brani più famosi del suo repertorio in veste totalmente rivisitata, come ci racconta Van de Sfroos in questa intervista, anche alcune ballate inedite mai eseguite prima. Fra le date anche quella sabato 9 marzo all’Auditorium Santa Chiara di Trento organizzata da Fiabamusic in collabrazione con il Centro S.Chiara (inizio ore 21, una cinquantina i biglietti ancora disponibili)

Van De Sfroos:  quale genesi ha un titolo crepuscolare come “Tour De Nocc”?

“Questo è un live che torna alle radici della notte, che può legarsi ad un grandissimo autore come il maledetto Louis Ferdinand Cèline e al suo “Viaggio al termine della notte”. Il viaggio in questo caso è quello di una persona che ha condotto una vita nella sua bella trincea musicale e si trova spaesato dopo aver riempito San Siro, dopo Sanremo e una certa sovraesposizione seppur ricca di grandi soddisfazioni. Tutto questo mi ha spinto a pormi dei quesiti e a ripensare me stesso”.

In quale modo?

“Mi sono chiesto chi fossi io veramente e se quello che stavo facendo era quello che avrei voluto fare dopo in cinquant’anni. Da qui un momento di crisi, di buio, nel quale per mesi sono stato lontano dalle scene, dai palchi e persino lontano dalla mia chitarra. Non la volevo toccare, lei non aveva colpa, ma incarnava la musica da cui volevo stare distante. Ho vissuto fra montagne e fiumi in una sorta di viaggio spirituale ed interiori consultandomi con sciamani e religiosi per capire cosa avessi dentro”.

E dove si è riaccesa la scintilla per le sette note?

“Ho ripreso in mano per la prima volta la chitarra a Cracovia dopo aver visitato insieme ad un gruppo di ragazzi, sul treno della memoria, i campi di concentramento di Auschwitz e Birkenau. Li, in quel luogo popolato di fantasmi e di spettri del male, ho capito che l’antidoto per tanto dolore e malvagità è ancora la musica. Non puoi cambiare la storia con una canzone ma puoi far sfogare un gruppo di giovani che avevano incamerato il senso della sofferenza di quei luoghi e che avevano voglia di urlare alla vita. In quel momento ho capito che avrei continuato a suonare e ho incominciato a pensare al Tour De Nocc”.

Ho letto che sul palco c’è un Van De Sfroos più “raffinato” con aperture al jazz: condivide questa impressione?

“Io ascolto molto jazz ma ho pudore ad andare in giro che faccio jazz perché – sorride Van De Sfross – dovrei cantare come Billie Holiday o Chet Baker e questo non è nelle mie corde, però ho chiesto di suonare insieme a me al noto jazzista e saxofonista milanese Ricardo Lotti insieme agli altri musicisti che mi accompagnano. Quindi è nato un set legato ad una forma canzone molto intima, con una sonorità molto colorata da una parte ma che dall’altra propone aperture al jazz e anche allo swing come nel caso della versione di “Gran Hotel” che non è più così pomposa. E’ un live lounge, da teatro, pieno di storie fra parlato e suonato che vuole far perdere la dimensione spazio temporale”.

Il suo “Ladri di foglie” è fresco di stampa: cosa racchiudono queste pagine?

“E’ un libro di racconti nei quali ogni personaggio ha bisogno di una rivalsa, di rifarsi sulle ingiustizie della vita, di ritrovare qualcosa che pareva perduto, che sia un prete, una sciamana o un autista di surgelati. Io sono presente in tutti i racconti perché sono stati scritti nel mio periodo di assenza dal tutto durante il quale ho avuto un’intensa frequenza con me stesso”.

Quanto è lontano il suo nuovo cd?

“Non nascondo che ci sono canzoni quasi pronte per riempire un doppio album almeno. Ma non ho la fregola di fare un disco nuovo, aspetterò il momento giusto e le persone giuste con le quali registrarlo. Prima del cd uscirà in primavera però un altro libro che si dovrebbe intitolare “Taccuino d’ombre” legato alla prosa poetica con un flusso di coscienza molto beat generation”.  

Qual è la differenza maggiore fra lo scrivere canzoni e creare una narrazione che diventa libro?

“Farei un paragone fra la discesa libera e lo sci da fondo: la canzone è lo slalom speciale durante il quale in poco tempo devi far stare dentro tutto mentre quelli che fanno fondo girano tutto il tempo fra gli alberi e la natura. Il loro è uno spazio dilatato nel quale vedono più particolari, attraversano più territorio. Sono due discipline diverse: la canzone ti arriva più rapidamente, il libro è qualcosa che ti permette la dilatazione completa di tutto quello che hai da dire”.

 

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