Economia

Dazi Usa, Riccardo Felicetti: «Ne risentiremo ma si va avanti»

L'amministratore delegato del pastificio di Predazzo, è preoccupato per gli scenari futuri che potrebbero aprirsi sul mercato americano: «Il nostro è mercato molto concorrenziale: escludo categoricamente la possibilità di ridurre i margini. Quindi purtroppo ci sarà un aumento del prezzo allo scaffale e l'effetto moltiplicatore potrebbe essere ben più del 20 per cento»

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di Daniele Battistel

TRENTO. «Lunedì prossimo partirò per la nostra sede commerciale di Charlotte in North Carolina e vedremo il da farsi, anche se la strategia è chiara: saremo costretti ad aumentare il prezzo». 

Riccardo Felicetti, amministratore delegato del pastificio Felicetti di Predazzo, è preoccupato per gli scenari futuri che potrebbero aprirsi sul mercato Usa della pasta, ma anche certo di quello che c'è da fare. Per la sua azienda il mercato a stelle e strisce vale circa 6 milioni di dollari, in pratica il 10 per cento del fatturato. «Essendo nostra la società importatrice, è chiaro che l'aumento dei costi peserà subito sul nostro gruppo e avremo noi il problema di trasferire i dazi al mercato». 

Lo farete? 

«Siamo costretti, visto che non siamo in grado di assorbire l'aumento dei costi». 

Quali le strategie da mettere in campo? 

«Il nostro è mercato molto concorrenziale: escludo categoricamente la possibilità di ridurre i margini visto che sono già ridotti a causa dell'estrema competitività del mercato. Quindi purtroppo ci sarà un aumento del prezzo allo scaffale. La cosa che mi spiace di più è che l'effetto moltiplicatore potrebbe essere ben più del 20 per cento. Ovvero la conseguenza di un aumento dei dazi del 20 per cento porterà ad un incremento dei prezzi del 50 per cento al consumatore. Lo dico perché conosco il comportamento della distribuzione negli Usa. C'è il rischio che il consumatore finale paghi non solo il dazio voluto da Trump ma anche una quota proporzionale sui ricarichi che verranno praticati».

Potrà aiutare un po' il tasso di cambio? 

«No perché il dollaro si sta indebolendo».

Ha pensato all'opzione che offre Trump, ovvero andare a produrre negli Stati Uniti? «Ci sono aziende che l'hanno già fatto e altre che potrebbero pensarci. Nel nostro settore le dimensioni e gli investimenti sono tali da non consentirlo a tante aziende in Italia. Dal mio punto di vista noi snatureremmo la nostra identità di "produttori" di montagna". Nella storia siamo passato da tante vicissitudini che questa non la considero nemmeno lontanamente la più negativa. Si va avanti».

Cosa intende?

«Dico che dobbiamo continuare a promuoverci in quel mercato e crederci. I dazi sono "a tempo", come lo siamo noi. Io e i miei cugini siamo la quinta generazione in azienda, e la storia ci insegna che la costanza e la perseveranza aiutano. E poi serve coraggio di presidiare il mercato indipendentemente dalle condizioni».

Teme di perdere fatturato? 

«Credo che almeno nell'immediato un certo riposizionamento dei consumi si farà sentire ma non so stimarlo».

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