Economia / Il punto

Reddito di cittadinanza, 4.500 famiglie trentine tutelate dall’Assegno Unico provinciale

Quel che cambia, dal punto di vista pratico, è chi paga: alla fine saranno le casse della Provincia di Trento ad essere penalizzate, con 8 milioni di euro di esborsi in più. I sindacati chiedono un incontro con la giunta per attivare «un welfare inclusivo e calibrato sulle esigenze della comunità»

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di Chiara Zomer

TRENTO. Niente panico da reddito di cittadinanza, in Trentino. Le quasi 4.500 famiglie che nel giugno scorso - l'ultimo dato utile - risultavano aver percepito il reddito di cittadinanza, rimangono tutelate: se dovessero perdere i requisiti, a seguito della riforma messa in campo dal governo Meloni, sono coperti dall'Assegno unico provinciale.

Quel che cambia, dal punto di vista pratico, è chi paga: alla fine saranno le casse provinciali quelle che più saranno penalizzate. Di quanto? Si calcola fino a 8 milioni di esborsi in più. Ma la cittadinanza - benché ognuno dovrà verificare l'iter dal punto di vista burocratico - sarà coperta. Con una differenza: l'Assegno unico provinciale ha inserito condizionalità più stringenti.

In sintesi, per ottenerlo bisogna fare delle cose. Il che fa uscire l'assegno unico dal cliché di chi nulla fa ma ottiene comunque benefici. «Un tentativo di collegamento alle politiche attive del lavoro che costa molto sia in termini economici che dal punto del lavoro di back office» rivendica l'assessore provinciale Achille Spinelli.

E adesso i sindacati guardano a questa fase come ad un'opportunità per modificare il sistema: Andrea Grosselli (Cgil), Michele Bezzi (Cisl) e Walter Alottti (Uil) chiedono alla giunta Fugatti un incontro urgente, con l'obiettivo di mettere in campo «un welfare locale calibrato sulle esigenze della nostra comunità e auspicabilmente più inclusivo».

I numeri. Il problema è noto. Come da promessa elettorale, il governo Meloni ha modificato, in termini estremamente più stringenti, il reddito di cittadinanza. O meglio, ha eliminato quello, per proporre il Reddito d'Inclusione, che copre tuttavia solo alcune tra le fasce prima garantire dal RdC. Nel resto d'Italia, è scoppiato più o meno il panico. In Trentino quante persone sono coinvolte? A giugno, i percettori di almeno una mensilità di reddito di cittadinanza nel 2023 erano 3.498 nuclei familiari, per un totale di 8.084 individui coinvolti e per un importo medio mensile di 445,21 euro.

A questi si devono aggiungere per la verità coloro che hanno la pensione di cittadinanza: 655 nuclei famigliari (e 717 persone coinvolte) in tutta la regione, ma la maggior parte degli assegni venivano in Trentino. Con una dinamica per altro di calo costante negli anni. Stando al numero di domande presentate, e concentrandosi solo sui dati provinciali, nel 2019 le richieste nel solo Trentino erano state di 7.917 e nell'Alto Adige 838, perché là era più conveniente lo strumento provinciale. Nel 2020 le richieste (in provincia di Trento) sono scese a 5.665, nel 2021 sono nuovamente salite a 7.299, per poi vedere un calo costante (6.274 nel 2022, 2.788 nel 2023) mano a mano che il mercato del lavoro diventava più dinamico.

Ma il reddito di cittadinanza in provincia aveva una particolarità, "lavorava" in combinato disposto con lo strumento locale di lotta alla povertà, l'Assegno unico provinciale, quota A, più conveniente in termini economici. Questo significa che chi ha diritto all'Assegno Unico, aveva anche diritto al Reddito di Cittadinanza, a cui si aggiungeva la misura locale, più ricca. Ergo, del sostegno economico che gli garantiva l'ente pubblico, una quota parte era assicurata da fondi statali (il RdC) e il resto dall'Assegno unico provinciale, quindi da fondi locali. Se si perde il reddito di Cittadinanza, perché non si entra nei casi coperti dal nuovo reddito d'inclusione, poco male. L'assegno unico provinciale, quota A, potrà dare ossigeno. L'unico dettaglio, come detto, è che a pagare sarà in toto la Provincia: «Abbiamo calcolato - conferma Spinelli - che potremmo arrivare ad un maggiore esborso per un massimo di 8 milioni di euro».

Clausole e condizionalità. Cambia anche il funzionamento del benefico. Perché con l'assegno unico, ci sono condizionalità più stringenti. Per esempio, per ottenere in automatico l'assegno, è necessario aver lavorato almeno tre mesi (fanno testo i versamenti Inps) nell'anno precedente. Questo per evitare che chi ha l'assegno sia incentivato a stare a casa o - come racconta spesso un certo tipo di narrativa - preferisca andare a lavorare in nero. A ciò si aggiunga un percorso in Agenzia del lavoro, che ha l'obiettivo di reimmettere nel mondo del lavoro chi ne è fuori.

Ha funzionato? Abbastanza. A dirlo è un recente rapporto dell'agenzia Apapi e Agenzia del Lavoro: delle 8.937 famiglie che nel 2021 hanno beneficiato dell'Aup quota A (per un totale di 29.379 persone), solo 7-800 non rispettano la necessità di avere almeno 3 mesi di occupazione. Più nel dettaglio, il 58,3% è esonerato da qualsiasi obbligo, perché ha figli minori di 3 anni o ha più di 67 anni, gli occupati sono il 26% del totale e i disoccupati sono il 15,7%, cioè 4.601 persone. Di queste, 1.699 sono stati presi in carico dall'Agenzia del Lavoro e coinvolti in un percorso che ha portato l'85% di loro (1.444 persone) a lavorare, seppur per periodi brevi. Il che vuol dire che l'89,2% di chi percepisce l'Assegno Unico (compresi quelli che hanno la quota di Reddito di cittadinanza, quindi), o sono impossibilitati a lavorare, oppure hanno lavorato, per lo meno parte dell'anno.

Insomma, per farla breve, la condizionalità inserita nell'assegno unico provinciale sembra funzionare. Ecco perché i sindacati ora, ragionando della fase transitoria che si apre, chiedono di spingere su questa strada: l'idea è quella di definire alternativo l'assegno unico provinciale e il futuro reddito di inclusione. Dovendo scegliere, tutti opteranno per la misura locale, che è più favorevole. Ma al contempo permette di inserire più condizionalità.

Per ora, mentre ancora non è chiaro come opererà il nuovo Reddito d'Inclusione, l'assessore Spinelli prende tempo: « Dovremo valutare se è compatibile il nostro assegno unico con il reddito d'inclusione. Certo qui c'è una piattaforma che non andrà cambiata, può essere migliorabile, ma l'assetto è quello. A cui si aggiunge la riforma del Progettone che partirà nel 2025».

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