Lavoro / L'analisi

In Trentino i lavoratori irregolari sono il 10%, la rabbia dei sindacati

Peggio di Veneto, Alto Adige e altre aree del nord nell'indagine svolta dalla Cgia di Mestre. Indignati Andrea Grosselli (Cgil), Michele Bezzi (Cisl) e Walter Alotti (Uil) che chiedono di potenziare i controlli contro uno sfruttamento illegale che rappresenta anche un rischio per la sicurezza e mina la concorrenza leale fra le imprese

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di Chiara Zomer

TRENTO. Il dato secco è impressionante: tra i lavoratori trentini, il tasso di irregolarità è del 10%.

In termini assoluti, significa che non sono in regola qualcosa come 26.700 persone, per un valore aggiunto prodotto di 761 milioni (il 4,1% del valore aggiunto).

A dirlo è il centro studi della Cgia di Mestre, che qualche giorno fa ha reso nota l'indagine sul lavoro nero in Italia e nei diversi territori.

Immediata la reazione dei sindacati, che hanno parlato di «dati inaccettabili» e chiesto più attenzione da parte delle istituzioni, soprattutto sul fronte dei controlli.

Sia chiaro: il problema non è solo trentino. Anzi, pur con quel 10% che colpisce, rimaniamo tra le province virtuose: meglio di noi Bolzano (8,8%), Veneto (9%), Valle d'Aosta (9,6%) e Emilia Romagna (9,8%). E ci sono regioni, in Italia, che toccano ben altre vette, come la Calabria (22%), la Campania (19,3%), la Sicilia (18,7%).

Ma rispetto alla media del Nordest (9,4%) non ci distinguiamo di sicuro per attenzione.

Da qui l'indignazione dei sindacati, perché quel 10% significa spesso sfruttamento, in un modo o nell'altro, dei lavoratori e concorrenza sleale alle imprese che invece rispettano le regole.

«Dati da maglia nera che non possono essere presi alla leggera o giustificati in alcun modo. Il Trentino si posiziona in coda alle realtà del Nord Est, dopo Bolzano, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia.

Peggio di noi, a livello dell'Italia settentrionale, solo pochi», tuonano Andrea Grosselli (Cgil), Michele Bezzi (Cisl) e Walter Alotti (Uil).

Per i sindacati, «serve una lotta senza quartiere contro questo fenomeno, senza cedere alla logica che sia inevitabile una sacca di lavoro nero o grigio.

Tutto il sistema, parti sociali, imprese e governo locale, devono agire congiuntamente con l'obiettivo di alzare una diga contro lo sfruttamento del lavoro soprattutto nei settori più esposti: si tratta per lo più delle piccole e piccolissime imprese, dei settori più frammentati come l'agricoltura, il turismo, gli appalti privati di servizi. Serve aumentare i controlli ed escludere le aziende che occupano lavoratori in modo irregolare da ogni sostegno pubblico.

Va bene far dialogare le banche dati come suggerito recentemente dall'assessore provinciale Spinelli, ma nessuna intelligenza artificiale riuscirà mai a sconfiggere il lavoro nero.

Serve quindi potenziare il personale del servizio Lavoro dedicato alle mansioni ispettive, che oggi risulta fortemente sotto organico.

Ricordiamo - concludono i segretari di Cgil, Cisl e Uil - che lo Stato sta agendo proprio in questa direzione, anche tramite l'attuazione del Pnrr, e il Trentino non può rimanere indietro e rappresentare il fanalino di coda del Nord».Restando ai dati presentati dalla Cgia di Mestre, sotto la lente c'è soprattutto l'edilizia, dove si trovano ancora troppi contratti anomali.

Per dare un'idea: a fronte di 74 contratti collettivi di lavoro depositati al Cnel, 37 (cioè il 50%) sono stati sottoscritti, osserva la Cgia, da organizzazioni non iscritte al Cnel.

«Organizzazioni che non rappresentano nessuno - osserva la Cgia - ma offrono una scappatoia alle imprese e lavoratori subordinati che vogliono far e dumping economico e non solo, aggirando i contratti siglati dalle sigle più rappresentative e diffuse su tutto il territorio nazionale».

Una situazione che impatta, spesso, anche sul tema della sicurezza: «Ricordiamo che l'attività nei cantieri è la più a rischio per numero di infortuni e decessi nei luoghi di lavoro. Crediamo sia giunto il momento che il parlamento ponga fine a questa deregulation che, a nostro avviso, ha anche delle implicazioni negative sull'elevato numero di infortuni e decessi presenti in questo e in molti altri comparti produttivi».

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