Lavoro, boom dei voucher Allarme sul rischio abusi

Quattro voucher e mezzo per abitante, contro una media nazionale di 1,9: in regione si registra un vero e proprio boom dell’utilizzo dei buoni lavoro, con un primato nelle vendite che desta qualche sospetto

Quattro voucher e mezzo per abitante, contro una media nazionale di 1,9: in regione si registra un vero e proprio boom dell’utilizzo dei voucher, i buoni lavoro, con un primato nelle vendite che desta qualche sospetto.

La possibilità di abusi e di un uso distorto di questo strumento è infatti dietro l’angolo. Ma cancellarli del tutto significherebbe probabilmente gettare via il bambino con l’acqua sporca. «Non risolverebbe il problema e toglierebbe uno strumento che, quando ben utilizzato, è risultato utile per l’emersione del lavoro nero», sostiene Paolo Cagol, della Fim-Cisl del Trentino.

Come intervenire allora, per prevenire il rischio abusi?
Intanto partiamo dai numeri e dall’analisi elaborata dalla stessa Fim-Cisl.

Il ricorso, da parte dell’economia regionale, all’utilizzo dei voucher è un fenomeno ormai difficilmente ignorabile e in continua crescita: 4.789.534 voucher venduti nel 2015 (dai 3,6 mln nel 2014 e i 2,9 mln nel 2013, con una ulteriore crescita del 37% nel primo bimestre 2016, ultimo dato reso noto dall’Osservatorio sul Precariato Inps).

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«Diversi sono stati i casi di abuso e di utilizzo illecito denunciati da varie indagini condotte a livello nazionale, anche da parte di strutture sindacali - sottolinea Paolo Cagol - ciò nonostante è opportuno affrontare il problema con lucidità e una giusta dose di sano pragmatismo, evitando conclusioni demagogiche e facili scorciatoie. Fatto salvo casi specifici (la cui consistenza statistica è di difficile stima) i dati del mercato del lavoro nel loro complesso ci parlano infatti di emersione di lavoro invisibile preesistente più che di deriva di precedenti contratti più regolati».

Il rischio più grosso, legato all’abolizione tout court del sistema dei voucher, è quello di vedere tornare nell’ombra una fetta di lavoro nero che era faticosamente riemersa proprio grazie a questi strumenti.

La maggior parte dei posti di lavoro pagati con i voucher, sottolinea Cagol, ha carattere occasionale e discontinuo: «Poco meno del 30% dei percettori riceve compensi annui inferiori ai 100 euro, oltre l’80% sotto 1.000 euro, il 98% non supera i 3.000 euro. Condivisibile nel principio ma probabilmente poco efficace quindi la proposta avanzata dal presidente della Commissione Lavoro alla Camera Cesare Damiano di tornare alla precedente soglia di 5.000 euro, superata nel 2015 soltanto dallo 0,4% dei percettori».

D’altra parte non si può far finta che tutto vada per il meglio: «I casi di abuso esistono e riguardano tra l’altro sempre più spesso i giovani (l’età media dei percettori è calata da 54 ai circa 30 anni dal 2008 ad oggi) ma servono soluzioni pragmatiche e intelligenti».

Si parte dalla tracciabilità, attraverso l’obbligo di comunicazione preventiva da parte del committente, per arrivare a una limitazione del campo di applicazione (la legge Fornero, L.92 del 2012, modificando l’art.70 del Dlgs.277/2003 ne estende di fatto l’uso a tutti i settori produttivi e dei servizi).

Cagol rilancia poi l’opportunità di affidare alla contrattazione collettiva la regolazione dei voucher nei diversi settori («lasciamo che siano i soggetti direttamente interessati a trovare la soluzione migliore attraverso quel virtuoso meccanismo di pesi e contrappesi che meglio di ogni esperta commissione sa ponderare costi e benefici, verificandone l’efficacia e garantendo la flessibilità regolatoria necessaria in un contesto economico ed un mercato del lavoro in costante evoluzione»).

Tutto, però, rischia di essere inutile senza una forte cultura della legalità che aiuti a prevenire gli abusi: «Senza la disponibilità di denunciare i comportamenti illeciti questi saranno sempre possibili e difficili da smascherare».

 

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