La Corte dei Conti  «boccia» il redditometro

La magistratura contabile boccia gli strumenti messi in campo dal legislatore per combattere l'evasione, un salasso da 160 miliardi di euro l'anno. E anche il «redditometro», che dovrebbe vedere le norme applicative proprio questa settimana, non potrà ottenere i risultati sperati. «Il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato alle limitate potenzialità dello strumento», affermano le Sezioni Riunite nel rapporto

euroROMA - La lotta all'evasione fiscale «continua ad essere un elemento centrale e imprescindibile nell'azione di risanamento della finanza pubblica» ma «la strategia adottata dal legislatore nel corso della passata legislatura è stata caratterizzata da andamenti ondivaghi e contraddittori». Lo afferma la Corte dei Conti nell'ultimo rapporto sul coordinamento della finanza pubblica.


La magistratura contabile boccia dunque gli strumenti messi in campo dal legislatore per combattere l'evasione, un salasso da 160 miliardi di euro l'anno. E anche il «redditometro», che dovrebbe vedere le norme applicative proprio questa settimana, non potrà ottenere i risultati sperati. «Il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato alle limitate potenzialità dello strumento», affermano le Sezioni Riunite nel rapporto.


La Corte guidata da Luigi Giampaolino tira dunque le fila sulle decisioni, in materia di evasione e elusione fiscale, prese nella scorsa legislatura. Un tira-e-molla che non ha fatto bene ai conti, tanto che nel 2012 anche «l'andamento della riscossione segnala un preoccupante indebolimento». Il tasso di riscossione (il rapporto tra il riscosso e il carico netto) - fa notare la Corte - e all'1,94%, «molto al di sotto del minimo toccato nel 2006», quando era al 2,66%.


La Corte attacca lo «spesometro», cioè l'obbligo per i soggetti Iva di comunicare telematicamente tutte le operazioni di importo superiore a 3.000 euro. E che rischia di creare «effetti negativi sui consumi» o, «peggio», l'aumento della «propensione ad effettuare acquisiti in nero».

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