Battere l'evasione

«Se si vuole, l'evasione si batte. Ma ci vorrebbe continuità. E un accordo politico, perché l'evasione non è un problema tecnico, ma politico: ci sono dai 5 ai 7 milioni di elettori che non sono interessati. È più facile fare i blitz di Cortina, il redditometro, scatenare Equitalia, che non risolvono i problemi. Morale della favola: se tu aumenti le tasse gli italiani non reagiscono, se gliele fai pagare, strillano»I commenti sul Festival

di Paolo Ghezzi

finanzaTRENTO - Sull'evasione fiscale, vergogna nazionale, l'ex-ministro-che-fa-rima-con-fisco Vincenzo Visco (quello che i vignettisti di destra raffiguravano con canini aguzzi da vampiro) ieri è stato stentoreo, sarcastico e definitivo: «Federalismo fiscale municipale? Difficile che un sindaco perseguiti i suoi elettori, preferisce che lo facciano da Roma. L'evasione vale 120 miliardi, 8 punti di pil, con cifre sottostimate. Problema atavico, che però ogni tanto abbiamo affrontato con risultati notevoli. Dal 1996 al 2001 abbiamo avuto riduzione di imposte e tributi e pressione fiscale costante, a causa dell'emersione di gettito fiscale, che cresceva a due cifre mentre il pil saliva del 5%. Lo stesso accadde con l'ultimo centro-sinistra: il tesoretto era gettito fiscale aggiuntivo. Se si vuole, l'evasione si batte. Ma ci vorrebbe continuità. E un accordo politico, perché l'evasione non è un problema tecnico, ma politico: ci sono dai 5 ai 7 milioni di elettori che non sono interessati. È più facile fare i blitz di Cortina, il redditometro, scatenare Equitalia, che non risolvono i problemi. Morale della favola: se tu aumenti le tasse gli italiani non reagiscono, se gliele fai pagare, strillano».


Il dibattito sul federalismo fiscale intitolato «Chi comanda in Italia?» era stato introdotto da Giuseppe Pisauro : «Dopo 12 anni della riforma del titolo V della Costituzione, sul versante spesa non è cambiato molto. Ma anche nei confronti del 1980 quando il 60% della spesa era centrale e il 40% locale, oggi il rapporto è rovesciato solo a causa della sanità passata alle Regioni. Nel 1980, ogni 100 lire di entrate locali, solo 10 erano da tributi e tariffe locali, mentre oggi i trasferimenti dallo Stato si sono ridotti dal 90 al 50%. Ma è successo negli anni Novanta, dal 2000 in avanti non è cambiato quasi nulla. Le grandi differenze, in Italia, sono sull'efficienza della spesa, non sui livelli».


Un altro ex (più fresco ex) ministro, anche lui lucidissimo, Piero Giarda , ha fotografato le contraddizioni nazionali tornando ancora più a ritroso, agli albori: «Nel 1861, quando Minghetti presentava i primi progetti di regionalizzazione, il finanziamento statale copriva l'1% del bilancio comunale, il debito il 6%, il resto era autonomia fiscale municipale. Il nodo è che, dopo la riforma del 2000, lo Stato deve garantire a tutti i livelli essenziali delle prestazioni, mentre la capacità contributiva si differenzia in base all'imponibile. Ma la politica non ha saputo combinare questi due princìpi contrastanti, riducendo le conseguenze delle differenze tra i redditi (la Calabria ha il 40% della Lombardia). Su 250 miliardi di spesa decentrata, solo 100 oggi sono coperti da entrate proprie. La crescita di 20 miliardi (5%) è stata tutta sulla sanità ed è stata pagata tutta dalla scuola. Ma nessuno l'ha deciso esplicitamente. È stato il frutto non dichiarato dell'intreccio di interessi tra classe politica regionale, aumento della popolazione anziana, industria farmaceutica. Il patto di stabilità interno, oggi con regole incomprensibili, nasce da un principio semplice: migliorare la differenza tra spese ed entrate proprie. Ma non siamo riusciti a farlo capire alla periferia». Eh, già.

 

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