Cultura / L'evento

Arco, a spasso nella storia del rock con Ezio Guaitamacchi e le sue pagine

Intervista con l'autore che stasera (giovedì 30 giugno) presenta il libro, accompagnato dalle cantanti Brunella Boschetti Venturi e Andrea Miró. "Penso che il rock sia una forma di arte popolare che va studiata e fruita tenendo conto dei luoghi che l’hanno generata e del contesto socio-culturale in cui si muove"

di Fabio De Santi

TRENTO. Il 5 luglio del 1954 Elvis Presley incide a Memphis il suo primo singolo. Una data simbolica che sigla l'inizio della storia del rock anche se le radici di questa musica sono ben più profonde. A raccontare questa avventura sonora lunga settant'anni è Enzo Guaitamacchi nella seconda edizione del suo "La storia del rock" (Hoepli).

Un libro che verrà presentato oggi, giovedì 30 ghigno, alle 20, al Sottotetto Urban Space al Parco “Nelson Mandela” di Arco con l'autore che sarà accompagnato dalle cantanti Brunella Boschetti Venturi e da Andrea Miró.

Guaitamacchi, perché una seconda edizione della sua "Storia del rock"?

"Il libro è andato molto bene e mi ha permesso di introdurre nella più seria tra le case editrici italiane, la Hoepli, famosa per manuali e testi scientifici, le vite delle rockstar e di sviluppare addirittura un’intera collana di libri che al momento conta circa quaranta titoli. E’ un motivo d’orgoglio per me. Sono però passati sette anni dall’uscita del libro e si sentiva l’esigenza di farne una versione riveduta, corretta e aggiornata".

Cosa c’è di nuovo?

"La grafica è completamente rivista e abbiamo inserito delle immagini che nella prima edizione non c’erano. Abbiamo aggiunto l’indice dei nomi che mancava e che era stata l’unica critica che avevamo ricevuto. Abbiamo aggiunto cinquanta pagine nuove per raccontare gli ultimi vent’anni perché la prima edizione si interrompeva emblematicamente con la morte di Kurt Cobain che veniva identificato come un punto di arrivo del fenomeno del rock iniziato nel 1954".

Fra i punti che lei analizza anche le ripercussione del dopo l’11 settembre con l’attacco terroristico alle Torri Gemelle

"Penso che il rock sia una forma di arte popolare che va studiata e fruita tenendo conto dei luoghi che l’hanno generata e del contesto socio-culturale in cui si muove. Il libro non è una sequenza di nomi e di aneddoti divertenti ma tentiamo di spiegare come questa musica sia il prodotto di un humus socio-culturale che non poteva che nascere in quegli anni nel sud degli Stati Uniti per poi diffondersi in tutta l’unione e poi in tutto il mondo. Partendo da questa considerazione anche gli ultimi anni sono stati analizzati con questa prospettiva. Abbiamo iniziato con un evento tragico che ha cambiato la storia e che ha visto il mondo della musica far sentire la propria voce nel bene e nel male- Dopo l’attacco alcuni dischi furono rimandati o addirittura censurati ma mi piace ricordare soprattutto il fatto che gli artisti hanno alzato la loro voce a sostegno di un’opinione che spesso contrasta col mainstream politico: volevano dare un segnale al mondo mettendosi anche a disposizione delle famiglie delle vittime attraverso raccolte fondi".

Esiste ancora una musica "impegnata"?

"Quando mi metto nelle vesti di insegnante del master di giornalismo musicale ricordo sempre che la musica, non solo il rock, ha diverse funzioni: ad esempio la musica religiosa o a quella che viene fatta solo per divertire. Negli anni ’60 e ’70 il rock proponeva temi importanti che oggi diamo per scontati ma che all’epoca erano innovativi come la sostenibilità ambientale o la spiritualità dell’Oriente".

Poi c’è il web con la sua musica liquida

"Questa è una grande rivoluzione, di modalità di fruizione della musica. Prima si ascoltava un disco immergendoti, studiavi i testi, c’era un rapporto intimo e profondo con il rock. Oggi la si ascolta in maniera diversa, la maggior parte delle volte attraverso il computer o il telefonino, senza la concentrazione giusta e la voglia di approfondire. Conseguentemente anche dal punto di vista tecnico è la prima volta da ben centoventi anni di discografia che la qualità sonora è peggiorata. Ormai chi fa musica, la produce e la mixa musica spesso tralascia alcune frequenze perchè tanto con le cuffiette non si sentiranno mai".

 La risposta dei musicofili sta nel prepotente ritorno del vinile.

"È prepotente tra virgolette. E’ un tentativo di far innamorare chi non ha vissuto quel periodo di alcune opere che sono dei capolavori ma le vendite non sono paragonabili rispetto a quelle degli anni ‘80 ma neppure a quelle del decennio successivo. Dall’evento di internet, dal concetto di gratuità non ci sono più i numeri di prima. Chi compra i vinili è un cultore, che Dio li preservi, ma rimane una minoranza. C’è anche il tema del supporto, devi avere anche un bell’impianto per sentire bene la music".

Quindi come guadagnano i musicisti?

"Dall’industria del disco siamo passati all’industria del live: prima facevi un disco e il tour serviva a promuoverne le vendite, ora fai un disco come scusa per organizzare un tour perchè è la vera fonte di introiti se non ti chiami Ed Sheeran".

A settant'anni dalla sua nascita insomma il rock non molla la presa come vede il futuro?

"Da un punto di vista storico il rock ha detto tutto quello che doveva dire. I grandi maestri come i Rolling Stones, che ho appena visto a San Siro, sono ancora attivi e questo è un problema per le giovani band perché parliamo di eccellenze assolute. Quando Picasso era in vita chi voleva misurarsi con quel tipo di arte perdeva sempre perché oltre ad essere il più bravo l’artista spagnolo era stato il primo. Ecco, qui ci troviamo con tanti Picasso, tanti Shakespeare e abbiamo tantissimi epigoni, giovani, bravi per carità, ma epigoni".

Quindi il rock si sublima come arte.

"Tra mille anni il rock sarà ricordato come le grandi opere dell’uomo come la cappella Sistina. Ma a un grande esperto di musica classica non si chiede chi è il nuovo Beethoven, c’è stato lui e basta. Allo stesso modo dovremmo accontentarci di Bob Dylan e i Rolling Stones e goderceli giacché abbiamo ancora la fortuna di poterli vedere, come se potessimo vedere Picasso dipingere o Hitchcock dirigere un film".

Un po’ di pessimismo per le nuove leve del rock?

"Ci sono band toste come i Greta Van Fleet. Ma un critico dirà sempre che sembrano i Led Zeppelin e se Robert Plant suona dal vivo preferirò sempre vedere lui. Poi mi rendo conto che a una mia nipotina che vede Keith Richards sul palco le sembra suo nonno, se vede invece il ragazzino ha un moto di identificazione e di attrazione diverso. Però in tutta l’arte la primogenitura è un valore e se arrivi cinquant'anni dopo, sei costretto a misurarti coi maestri e nel 99% dei casi perdi".

La sua top five discografica?

"Elvis, qualsiasi cosa. E’ nato tutto da lì e quindi è imprescindibile. Poi The Freewheelin di Bob Dylan, Sgt. Pepper dei Beatles, uno dei primi quattro album dei Led Zeppelin e The dark side of the moon dei Pink Floyd".

Chi sogna di poter vedere on stage?

"Jimi Hendrix. Darei tutto ciò che non ho per farlo resuscitare, vederlo in concerto e intervistarlo".

Il prossimo libro?

"Dovrebbe uscire in autunno 2023 e sarà un grande excursus di storie di grandi personaggi femminili del mondo della musica legato ai mille risvolti della femminilità: da quelli più romantici alla lotta contro gli abusi".

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