Francesca Neri si racconta: «Mi riscopro dolce e umana. E sento di nuovo Trento la mia casa»
La celebre attrice trentina davanti al pubblico del Muse per un evento di Adige Incontri in cui è stata intervistata dal direttore Alberto Faustini, anche per presentare il libro «Come carne viva»
TRENTO. Risolta, compiuta. Intensa, autentica. Riconciliata, anche con la sua città. In una parola, rinata.
Francesca Neri è apparsa così, ieri sera, nel foyer del Muse davanti al pubblico - circa 150 persone, sala piena - di Adige Incontri.
L'attrice trentina, dal fascino immutato e dalla spietata bellezza, si è raccontata, pienamente a suo agio, nell'intervista condotta dal direttore dell'Adige, Alberto Faustini, per presentare (senza svelare troppo) il suo libro «Come carne viva», pubblicato da Rizzoli.
Mamma e papà, le origini trentine (ma anche istriane e calabresi), la carriera cinematografica, l'amore del compagno (da 25 anni) Claudio Amendola, noto attore romano, la voglia di scrivere, il dolore della malattia, la riscoperta normalità, dopo aver toccato il fondo della salute, i progetti per il futuro: una Francesca Neri che non si è risparmiata nel raccontare di sé. Su se stessa ha posato uno sguardo elegantemente disinvolto ma affettuosamente controllato.
«Durante la malattia ho imparato a stare da sola - ha confessato - e ho avuto paura di bastarmi. Mi sono sempre sentita trentina ma oggi non sono più a disagio, qui, davanti a un pubblico composto da miei concittadini. Sento di nuovo Trento la mia casa. Mi hanno a lungo considerata l'attrice nordica, glaciale, elegante. Oggi, dopo cinque anni di malattia, mi riscopro umana, dolce, spiritosa. Mi sono riappropriata di me stessa».
Una nuova Francesca Neri anche nel look: viso sempre etereo e magnetico, ma tailleur coordinato con giacca e con pantaloni giallo senape a scacchetti.
«È vero, non mi vesto più di nero» ha riso l'attrice, quando le è stato fatto notare anche dai parenti trentini in platea. La Francesca del futuro? «Mi sento come nella hall di un aeroporto. Potrei prendere un volo o un altro. O anche uscire dall'aeroporto e mettermi a passeggiare...».
Tradotto: potrebbe tornare a fare l'attrice.
Pupi Avati, con cui ha già lavorato in tre film, la rivuole, lui, che ha definito il suo sorriso capace di contenere anche il pianto. Ma scrivere le piace. Sta scrivendo un film «di cui non sarò regista».
Ma in molti la vedono pronta per la regia. E c'è anche la scrittura, catartica.
Da cinque anni l'attrice soffre di una malattia «invisibile» perché senza cure, ma cronica e difficile da diagnosticare: la cistite interstiziale.
Dolori fisici fortissimi.
«Medici, urologi, santoni, cure alternative. Le ho provate tutte. Oggi come sto? Benino. Ho imparato a gestire questa situazione e a mettere dei limiti» ha confidato l'attrice.
Nel libro - ha evidenziato il direttore Faustini - più che il personaggio c'è la persona.E Francesca Neri anche al pubblico di Trento ha voluto presentare se stessa: «La malattia mi ha insegnato a conoscere me stessa. Per tre anni sono rimasta in casa. Tra letto e bagno. Oggi condividere con il pubblico questo libro, sentire empatia, mi ripaga di cinque anni di dolori. Prima alzavo sempre l'asticella. Ho imparato a dire anche dei "no". E questi "no" oggi sono la mia libertà».
Nessun problema a ricordare lo «choc» e i sensi di colpa familiari (e di tutta la sua terra d'origine) per il film - prima cesura della sua vita - in cui si mostrò senza veli, «Le età di Lulù», nel 1990, dello spagnolo Bigas Luna, che poi le aprì una carriera luminosa nel cinema internazionale.
La malattia è stata la seconda frattura: un black-out prolungato: «Mi è mancata la parte creativa. Ti crei un micromondo fatto di silenzi. Sono arrivata a parlarmi allo specchio per sentire la mia voce. Ho anche tentato di allontanare Claudio e nostro figlio Rocco per il bene di tutti.
Oggi il nostro rapporto è ancora più forte. Capii subito, già 25 anni fa, che Claudio era l'uomo della mia vita. Ci siamo conosciuti su un set ma non abbiamo preferito non fare mai film insieme».
L'ex allenatore di calcio Arrigo Sacchi il suo - inaspettato - mito: «Ha vinto tutto e ha rivoluzionato il calcio. Ha lasciato per stress. Lo ammiro perché lo ha fatto per scelta. Per me l'ha scelto il mio corpo, che adesso ho imparato ad ascoltare molto di più».