A 150 anni dalla nascita, ricordare Antonio Piscel, il roveretano protagonista del primo Novecento

di Daniele Benfanti

ROVERETO - Cercò di coniugare le due anime principali del socialismo, che innervavano anche il socialismo trentino: la vocazione internazionalista e quella borghese intellettuale della riflessione teorica. Antonio Piscel sposò il socialismo all'irredentismo, come l'amico e compagno di lotta politica Cesare Battisti, sul quale forse il lavoro storiografico sul socialismo trentino è rimasto a lungo riduttivamente confinato.

Di Antonio Piscel ricorre il centocinquantesimo anniversario dalla nascita. Nacque infatti a Rovereto il 4 marzo del 1871. Di tre anni più vecchio di Cesare Battisti. Famiglia benestante, di imprenditori borghesi, originaria di Garmisch, in Germania, con il nonno che arrivò in Trentino al seguito delle truppe napoleoniche: il cognome, in origine, era Pischl. Diventato Pischel e poi Piscel. Il nipote, classe 1946, porta lo stesso nome del nonno, Antonio. È figlio di Diego Piscel e oggi risiede a Roma, anche se passa lunghi periodi nella villa di famiglia a Serrada. Una villa che ai tempi del nonno ospitava, tra gli altri, l'artista futurista Fortunato Depero e il deputato socialista veneziano Elia Musatti, padre di Cesare, fondatore della psicanalisi italiana.

Nel piccolo cimitero di Serrada riposano le spoglie di Antonio Piscel: «Preferì essere seppellito lì, anziché nella tomba di famiglia al cimitero di Santa Maria a Rovereto» ricorda ancora il nipote. Antonio Piscel, poi morto nel 1947, fu avvocato, politico, giornalista, editore. Fondatore del Partito socialista in Trentino, insieme a Cesare Battisti e al valsuganotto Augusto Avancini, anch'egli avvocato, consigliere comunale a Trento e deputato a Vienna. Piscel, dopo gli studi classici a Rovereto, studiò giurisprudenza in diversi atenei. A Bologna, dove ancora insegnava il Carducci, a Vienna, e a Graz, dove si laureò.

«Fu in quegli anni - ricorda il nipote - che venne a contatto con le drammatiche condizioni degli operai ferroviari sfruttati dall'Austria-Ungheria, privi di diritti, allo sbaraglio». Nel 1892-93 si avvicinò ai nascenti movimenti socialisti e nel 1894 fondò con Cesare Battisti la Società studenti tridentini, di stampo irredentistico: «Erano giovani entusiasti - ricorda il nipote Antonio - e uniti da ideali irredentisti e socialisti, sulla scorta dell'associazionismo liberale e dell'eredità risorgimentale. Erano generosi. Per loro la politica era un impegno totalizzante. Il coinvolgimento era totale anche per quanto riguarda le famiglie. Anche economicamente». Nel 1896 Antonio Piscel fu direttore dell'Avvenire del Lavoratore, foglio socialista, e fondò la Rivista popolare trentina, sempre con Battisti. Nel 1897 divenne segretario del Partito socialista in Trentino e fu poi più volte consigliere comunale a Rovereto.

Fu avvocato di Battisti e dei socialisti trentini, spesso finiti pretestuosamente sotto processo. A Milano, durante il tirocinio professionale da avvocato, conobbe la moglie Enrica Sant'Ambrogio, che morirà prematuramente nel 1915 a Verona. Socio dell'Accademia degli Agiati e co-fondatore, un secolo fa, del Museo della Guerra di Rovereto (con don Antonio Rossaro, lo storico e archivista Giuseppe Chini, il provveditore Giovanni Malfer), di cui fu primo presidente (1920-1922).

Piscel fu in contatto con i «big» del socialismo delle origini, Leonida Bissolati, Filippo Turati, ma anche Antonio Labriola e Camillo Prampolini e rappresenta un intellettuale in cui si incrociano le istanze scientifiche positiviste e le aspirazioni risorgimentali. Riformista, non rivoluzionario. Cesare Battisti gli affidò i rapporti con il socialismo europeo, soprattutto nei Paesi di lingua tedesca. E Antonio traduceva articoli e scritti che arrivavano dalla lingua di Goethe e teneva stretti rapporti con il leader della socialdemocrazia austriaca, Victor Adler. Restano anche sei lettere del loro rapporto epistolare: in una di queste lettere descriveva la difficile situazione socio-economica del Trentino a fine Ottocento: «I contadini sono costretti a emigrare. Non ci sono vere industrie. Nelle valli domina un antico sistema patriarcale e i contadini sono nelle mani dei preti».Il nipote Antonio ricorda un episodio che vide protagonista il nonno, in Valsugana, ai primi del Novecento: «Dovette combattere contro i preti che imponevano alle donne di nascondere i pantaloni ai mariti affinché non potessero andare al congresso socialista...»

L'economia trentina, da quando nel 1866 era stata staccata dal Lombardo-Veneto, divenuto italiano, era diventata asfittica. Nel 1905 Piscel era già disincantato rispetto alla possibilità che il socialismo potesse spingere il governo di Vienna a lasciare al Trentino autonomia, se non libertà di scegliere l'Italia, o migliorarne le condizioni economiche. Allo scoppio della Grande Guerra si stabilì a Verona, dove collaborò con il Servizio informazioni dell'esercito italiano, ma senza prendere i gradi. La sorella Amalia, infermiera della Croce Rossa, saliva sugli altopiani cimbri e gli forniva informazioni sulle fortificazioni austriache.

Persa prematuramente la moglie nel 1915 e dopo l'esecuzione di Cesare Battisti, Piscel visse un po' ai margini. Ma in quel luglio del 1916, dopo l'arresto di Battisti sul Monte Corno in Vallarsa, si portò con un'ottantina di uomini ad Anghebeni per valutare un possibile salvataggio dell'amico, operazione che poi si rivelò troppo rischiosa. Condivise con De Gasperi («con il quale si davano del tu») l'idea di dover riscattare il Trentino, marginale e povero. Fino ad abbracciare la fede cattolica a metà anni Trenta: «Fu in ottimi rapporti con l'arcivescovo coadiutore di Trento, Enrico Montalbetti, - ricorda ancora il nipote - e a un certo punto vide nel movimento progressista cattolico la fase più moderna della storia in cui aveva creduto». La figura di Antonio Piscel è stata di recente approfondita dagli studi di Mirko Saltori, storico della Fondazione museo storico del Trentino; lo hanno studiato Fabrizio Rasera e Mariapia Bigaran, per l'Accademia roveretana degli Agiati, e Renato Monteleone, già negli anni Sessanta.

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