Dispositivi digitali a scuola: l'ipotesi di divieto accende il dibattito in Provincia
Diversi approcci sulle modalità da adottare si sono confrontati in commissione, nelle audizioni sul disegno di legge di Vanessa Masè. Tutti concordi sull'obiettivo di tutelare dai rischi dell'iperconnessione e simili. Ma incontra critiche la proposta di vietare l'utilizzo dei terminali non collegati all'attività formativa
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TRENTO - In provincia prosegue la discussione su come affrontare dal punto di vista normativo e istituzionale più in generale la delicata questione dell'uso di smartphone e in generale di dispositivi digitali da parte dei minori.
Ieri, 28 maggio, in quarta Commissione, presieduta da Maria Bosin, si sono svolte le consultazioni in merito al disegno di legge 36 di Vanessa Masè (La Civica) che modifica le leggi provinciali sui giovani 2007 e sulla scuola 2006, per introdurre norme in materia di prevenzione dai rischi legati all’esposizione dei minori ai dispositivi digitali ed elettronici.
A Palazzo Trentini è stata un'importante e lunga giornata di consultazioni: al centro del dibattito, la proposta di vietare l'utilizzo di dispositivi digitali non collegati all'attività formativa nelle scuole primarie e secondarie di primo grado.
Le audizioni hanno fatto emergere un quadro articolato di posizioni. Da un lato, il sostegno generale all'obiettivo di tutelare i minori dai rischi del digitale; dall'altro, perplessità e proposte di modifica significative al testo proposto.
L'Azienda provinciale per i servizi sanitari, attraverso Ermelinda Levari del Serd, ha condiviso l'importanza dell'intervento ma ha suggerito modifiche terminologiche e l'estensione del riferimento ai "minori" senza specificare l'età.
Katia Castellini, presidente dell'Ordine degli psicologi, ha proposto l'istituzione di un Tavolo permanente per monitorare rischi e potenzialità, citando l'esperienza positiva della Val di Fiemme.
Più critica la posizione di Maura Zini, presidente dell'Associazione dirigenti scolastici, che ha evidenziato incoerenze nel testo e il rischio di contraddire le politiche provinciali sulla scuola digitale e gli investimenti del Pnrr. "Come possono le scuole svolgere attività formativa sul rischio degli strumenti di cui si vieta l'utilizzo?", si è chiesta, sottolineando la necessità di educare all'uso critico piuttosto che all'esclusione.
Il termine "divieto" è stato al centro di molti interventi.
Matteo Lancini dell'Iprase ha provocatoriamente affermato che "qualsiasi provvedimento che non preveda una privazione degli strumenti prima di tutto agli adulti non sarà efficace", suggerendo di vietare i cellulari anche a insegnanti e genitori a scuola.
Gli operatori del Centro operativo per la sicurezza cibernetica hanno invece sostenuto l'utilità della proposta per uniformare condotte già esistenti in alcuni istituti, sottolineando l'importanza della formazione degli adulti: "Gli adulti frequentano internet, i giovani lo vivono", ha osservato Stefano Messina.
Particolarmente apprezzata la presentazione del progetto promosso dal ministero e attivato dalla Provincia sull'uso problematico di internet, che ha coinvolto circa 100 giovani attraverso i "serious games" - giochi educativi per la sensibilizzazione. Diego Conforti e Daniela Bonaldi hanno illustrato questa sperimentazione che "ha utilizzato il digitale per educare all'utilizzo consapevole del digitale".
Nel pomeriggio, il Consiglio del sistema educativo provinciale ha proposto di alzare la soglia di attenzione dai 12 ai 14 anni, mentre il Consiglio provinciale dei giovani ha sottolineato la necessità di "accompagnare i ragazzi in un patto educativo tra scuola e famiglia", senza demonizzare la tecnologia.
Cosimo di Bari dell'Università di Firenze ha precisato che "il digitale non è solo smartphone" e ha sottolineato l'importanza di formare le famiglie fin dalla prima infanzia.
L'associazione L'Aratro e la Stella ha condiviso la necessità di normare, evidenziando il rischio di "imparare poco" nel bombardamento di informazioni quotidiano.
La consigliera Masè ha più volte ribadito che il disegno di legge nasce dall'esigenza di "creare un dibattito" su un tema urgente e delicato. "Il termine divieto è stato volutamente utilizzato come strumento di dibattito", ha spiegato, mostrando apertura alle modifiche: "Se il termine divieto è da rivedere, parliamone. Io consegno uno strumento, raccogliamo le proposte".
Masè ha anche ricordato che l'iniziativa nasce "da una serata di presentazione dei Patti Digitali, per mettere in norma un'esigenza partita dal basso", riferendosi al movimento che promuove accordi tra genitori per ritardare l'accesso degli smartphone ai minori.
La giornata di consultazioni ha evidenziato un consenso trasversale sulla necessità di affrontare il tema, ma anche la complessità di trovare soluzioni normative efficaci.
Come ha osservato Francesca Parolari (Pd), "ci sono i margini per condividere assieme una proposta", ma serve "normare in una determinata direzione" con "indicazioni di progettualità".
Il dibattito ha confermato che la sfida principale non riguarda tanto i "nativi digitali" quanto la formazione degli adulti - genitori, insegnanti, educatori - chiamati a guidare i minori verso un uso consapevole e sicuro della tecnologia.
La prossima fase legislativa dovrà trovare un equilibrio tra la necessità di porre limiti e quella di non compromettere l'innovazione didattica e le competenze digitali delle nuove generazioni.