Violenza / La sentenza

Abusa della figlia, patrigno condannato a 15 anni e al risarcimento di 700mila euro

L'imputato si è sempre dichiarato «innocente», respingendo le accuse della giovane. Dopo la denuncia della giovane e della madre, il 57enne trentino era stato sottoposto alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa famigliare e divieto di avvicinamento alla ragazza

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BOLZANO. Avrebbe abusato per anni della figlia minorenne che la moglie aveva avuto da una precedente relazione, costringendola sotto minaccia a compiere atti sessuali ogni fine settimana, quando rientrava a casa da lavoro. Un incubo che, purtroppo, non si sarebbe compiuto soltanto fra le mura domestiche prima in un centro dell'Alto Adige e poi nel bellunese, ma anche al di fuori.
 

Stando all'accusa infatti, la ragazzina, appena quattordicenne, sarebbe stata costretta in diverse occasioni ad avere rapporti con più uomini contemporaneamente, mentre il patrigno avrebbe fatto da «spettatore». Per questo l'imputato, un trentino di 57 anni, è stato condannato dal tribunale di Trento a 15 anni di reclusione, scegliendo il rito abbreviato, e al risarcimento di 700mila euro per madre e figlia, costituitesi parte civile.
 

Una storia drammatica, stando agli atti, scandita da terribili violenze psicologiche e sessuali, ricatti e minacce che sarebbero cominciati a partire dall'estate del 2019 per poi proseguire fino a settembre 2022. Vicenda che è approdata nel tribunale del capoluogo arrivando davanti al giudice per le indagini preliminari.

La ragazza aveva solo quattordici anni quando tutto ha avuto inizio. In un primo momento gli abusi sarebbero avvenuti all'interno dell'abitazione, dove la ragazzina viveva con la mamma, malata, e l'uomo che aveva sposato e che avrebbe dovuto rappresentare una figura paterna. Proprio lui, ripetutamente, avrebbe compiuto atti sessuali con la giovanissima nel soggiorno, dove lei dormiva. Baci e palpeggiamenti, fino a rapporti sessuali completi. E il tutto sotto minaccia e con una grande pressione psicologica.

«Stai zitta, altrimenti rovini la famiglia», era solo una delle frasi che l'imputato, avrebbe detto alla ragazza, stando all'accusa della procura. L'uomo le avrebbe anche scattato delle foto, durante le violenze, oltre ad aver preteso materiale fotografico «intimo» che lei avrebbe dovuto inviargli su Whatsapp.
 

In cambio, secondo gli elementi raccolti, «delle disponibilità a darle lezioni di guida dell'auto». Ma il 57enne non si sarebbe limitato a questo, ma sarebbe arrivato anche a condurre la ragazza, in particolare in due specifiche occasioni, a subire e avere rapporti con più persone nello stesso momento, presentandola al gruppo come diciannovenne, e rimanendo come «spettatore».

L'imputato, difeso anche dall'avvocato del foro di Bolzano, Vittorio Papa, si è sempre dichiarato «innocente», respingendo le accuse della giovane. Ma per i legali, in attesa delle motivazioni da depositare entro 90 giorni, «si andrà in appello». Dopo la denuncia della giovane e della madre, il 57enne trentino era stato sottoposto alla misura cautelare dell'allontanamento dalla casa famigliare e divieto di avvicinamento alla ragazza.

Dopo la scelta del rito abbreviato, che garantisce lo sconto di un terzo della pena, il giudice Enrico Borrelli lo ha condannato a 15 anni, andando oltre le richieste dalla procura, rappresentata dalla pubblico ministero Patrizia Foiera, che aveva chiesto dieci anni.

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