Sanità / Il caso

Mobbing in ospedale, la dottoressa "vessata" dovette dimettersi, due medici condannati a risarcire

Sentenza della Corte dei Conti, che rileva un comportamento «colposo, non doloso», ma bacchetta l’Azienda Sanitaria «non vedente»

TRENTO. Per un danno biologico conseguente ad un'ipotesi di mobbing, una dottoressa ha ottenuto un risarcimento pari a 99.600 euro dall'Azienda sanitaria provinciale. Somma che in parte verrà coperta dai due medici che all'epoca dei fatti dirigevano le unità operative presso cui la professionista svolgeva la propria attività: lo ha deciso la Corte dei Conti Sezione giurisdizionale di Trento, condannando un primario al pagamento all'Apss di 50.800 euro e un medico ora in pensione ad una quota di 10.100 euro, pari rispettivamente al 50% ed al 10% di quanto richiesto dalla procura.  Ad entrambi è stata riconosciuta una responsabilità colposa e non dolosa.

La vicenda riguarda una anestesista del Santa Chiara che, in seguito a difficili rapporti interni (i fatti si riferiscono agli anni 2013 e 2014), nel 2017 si era dimessa. Il giudice d'appello di Trento, con sentenza del 2020 e in riforma della sentenza di primo grado, aveva condannato l'Apss al risarcimento dei danni, riconoscendo che la dottoressa era stata vittima di ripetuti comportamenti vessatori, che avevano causato alla ricorrente una emorragia cerebrale da stress, con danni cerebrali permanenti, valutati da apposita Ctu.

La sentenza faceva riferimento a episodi di mobbing, condotte volontarie e vessatorie, ritorsioni, a un trasferimento senza preavviso, negazione di congedi parentali, discriminazioni, carichi di lavoro insostenibili.

Sulla vicenda il consigliere provinciale Filippo Degasperi - nell'autunno 2021, quando già era scoppiato il caso di Sara Pedri - presentò un'interrogazione in Consiglio provinciale per chiedere se erano stati presi provvedimenti nei confronti dei medici responsabili.

La procura della Corte dei conti, attivata dalla stessa Azienda sanitaria, ha individuato una ipotesi di danno erariale per complessivi 101.600 euro (calcolati anche gli interessi) e ha chiesto per un primario un risarcimento per intero dell'importo per aver agito «con comportamento doloso», mentre per un secondo medico, ora in pensione, 20mila euro «in considerazione del suo concorso gravemente colposo alla causazione del danno erariale».

Ma, come già evidenziato, per la Sezione giurisdizionale c'è stata colpa e non dolo da parte dei due professionisti, con una rivalutazione del danno.

Riguardo alla responsabilità del primario, la Corte presieduta da Chiara Bersani ha ritenuto che «assai gravi e produttive di un senso di emarginazione, sottostima frustrazione, insicurezza, tensione e stress» sono state le condotte finalizzate ad indurre la dottoressa ad una riduzione del periodo di congedo parentale, e le modalità con cui, al rientro in reparto, è stata subito trasferita. Il comportamento del dirigente è risultato, come si legge nella sentenza, «gravemente colposo, giacché imprudente, negligente ed imperito nella gestione di una risorsa professionale»; una parte di responsabilità va tuttavia ascritta anche ai vertici aziendali «ampiamente coinvolti nella gestione della vicenda e sicuramente a conoscenza del clima di generale emarginazione e ostilità creatosi anche tra i colleghi e il personale ausiliario».

La colpa imputabile al secondo medico (ex direttore di unità operativa) riguarda principalmente la «grave superficialità» con cui è stato gestito il rientro della dottoressa dopo il lungo periodo di assenza dal lavoro. Anche qui viene riconosciuta la responsabilità dei vertici dell'Apss. «Non aver acquisito il consenso della lavoratrice alla nuova collocazione professionale (...) ha indubbiamente costituito una grave negligenza, imprudenza e imperizia nei doveri di gestione del personale posti a carico del direttore - è il ragionamento della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti - Responsabilità che, peraltro, come si vedrà in punto determinazione del danno, va certamente condivisa e ripartita con la dirigenza amministrativa dell'Azienda sanitaria, in particolare con il direttore risorse umane e con il direttore dell'ospedale». Il minor risarcimento rispetto alle richieste della procura è stato calcolato tenendo conto del concorso di altri soggetti non coinvolti nel procedimento alla situazione che si era creata ai danni della dottoressa.

Questo il giudizio di primo grado. Quasi scontato il ricorso dei due medici in appello.

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