Giustizia / Il caso

Presta la casa all'amico e poi gli fa causa per riaverla

I due per colpa di un appartamento si sono trovati l'uno contro l'altro in tribunale: il giudice ha dato ragione al proprietario e ha condannato l'inquilino, perché c'era l'impegno a lasciare libero l'immobile entro una determinata data

di Marica Vigano'

TRENTO. Erano amici, nonché soci in affari. Per colpa di un appartamento si sono però trovati l'uno contro l'altro davanti al giudice, con una sostanziosa richiesta di danni. A presentare ricorso è stato il proprietario dell'immobile, sostenendo che era scaduto il periodo di comodato gratuito e dunque che i locali andavano liberati al più presto.

L'altra parte in causa ha dato una differente versione dei fatti, spiegando che tra i due c'era stato un accordo di contratto di locazione in nero. Del caso si è occupato il giudice Alessandro Sigillo, che nei giorni scorsi ha dato ragione al proprietario e condannato l'inquilino amico (o ex amico) a versare 13mila euro come risarcimento.

A far pendere la bilancia verso il primo è stato l'unico documento presentato e messo agli atti: una dichiarazione scritta di colui che occupava l'appartamento l'impegno a lasciare libero l'immobile entro una determinata data.

Il comodato, come da accordo verbale poi perfezionato con una dichiarazione firmata dal beneficiario, valeva per il periodo aprile 2019 - febbraio 2021. Così era stato dunque concordato e messo nero su bianco dalle parti.

Allo scadere dei termini però l'immobile è rimasto occupato. Abusivamente occupato secondo il proprietario, che ha fatto causa all'amico (o forse ex amico) chiedendo un risarcimento danni pari alle mensilità di affitto perse da febbraio 2021 in poi. Pronta la risposta dell'inquilino: il comodato gratuito non ci sarebbe mai stato, visto che era stato pattuito - sostiene - un canone di 600 euro mensili da versare in contanti o attraverso un bonifico.

Un movimento di denaro, pari a 9mila euro, in effetti c'è stato da parte dell'occupante a favore del proprietario, alcuni mesi dopo la scadenza del comodato. Tuttavia per il giudice tale versamento non sarebbe prova sufficiente per stabilire che si trattava del pagamento (senza contratto depositato, dunque in nero) dell'affitto.

La causale del bonifico, del resto, era generica: "restituzione denaro" era stato dichiarato alla banca.

Nella sentenza viene evidenziato che dalle dichiarazioni della parte resistente (ossia dell'inquilino) non è stata fornita «alcuna prova o indizio idoneo dell'esistenza dell'invocato contratto di locazione».

«Di certo non può essere valutato in tal senso - è il ragionamento del giudice - il rapporto di amicizia che intercorreva tra le parti (fatto pacifico ammesso anche dal resistente), ben potendo tale circostanza deporre tanto a favore di un contratto di comodato quanto a favore di un contratto di locazione non registrato».

Elemento certo è la data di inizio di occupazione dell'immobile, senza però che sia stata fornita prova di alcun pagamento in oltre tre anni.

«In assenza di qualsivoglia elemento da cui desumere l'esistenza di un contratto di locazione, e dato per pacifico che il resistente occupava l'immobile, non può che ritenersi che egli fosse ivi ospitato a titolo gratuito e che dunque tra le partivi fosse un accordo di comodato» è il ragionamento del giudice. Comodato che, come da codice civile, è gratuito.

L'inquilino - che deve sgomberare l'appartamento entro 30 giorni dalla sentenza, arrivata a fine novembre - è stato condannato a versare al proprietario di casa 13mila euro, importo calcolato sulla base delle mensilità dal termine del contratto fino alla data del ricorso, come risarcimento del danno per la mancata disponibilità dell'immobile. A suo carico ci sono pure le spese di procedura pari a 1.550 euro.

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