Sequestro / il problema

Sloi e Carbochimica: di chi sono i terreni inquinati e come mai da 45 anni non si è fatto nulla

Dall’incendio del 1978 alla chiusura delle fabbriche, ma nell’area fra via Maccani e via Brennero rimangono oltre 180 tonnellate di piombo teatraetile. Per non parlare del resto

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TRENTO. Il sequestro ordinato dalla Procura della Repubblica di Trento delle aree cosiddette Sin (Sito di interesse nazionale per problemi di inquinamento) giunge a 45 45 anni di distanza dalla chiusura della fabbrica Sloi, decretata dall’allora sindaco Tononi dopo il disastroso incendio che poteva costare una strage chimica sulla città di Trento, nel luglio 1978.

Da allora, nonostante studi, ipotesi e cambi di proprietà, i terreni sono rimasti com’erano: intrisi di veleni. I terreni inquinati. Vengono chiamati spesso così, con una locuzione che prende tutto assieme, e dà per scontata la storia di quei disgraziati siti. Ma di cosa parliamo, quando ragioniamo di ex Carbochimica (ad est della ferrovia) ed ex Sloi (ad ovest)? Di un insieme di circa 10 ettari: 6,1 dell'ex Sloi e 4,1 dell'ex Carbochimica, a cavallo fra via Maccani e via Brennero (con la ferrovia in mezzo.

Sono di proprietà di tre diverse società: la Tim Srl , la Mit Srl e la Int Srl, riconducibili rispettivamente agli imprenditori immobiliaristi Michele Albertini, Paolo e Stefano Tosolini, e Sergio e Adriano Dalle Nogare. Si tratta di aree il cui sviluppo è bloccato da decenni a causa della necessità, prima di fare qualsiasi ipotesi di investimento, di bonificare l'area. Per questo entrambe le aree sono diventate, per decisione del ministero dell'Ambiente, Sin, cioè siti di interesse nazionale. Che poi significa dover passare dal ministero prima di decidere come intervenire.

Sulla carta, sarebbe dovuto essere il modo per accelerare la possibilità di bonificare i due siti. Per farlo le tre società si sono anche riunite nel Consorzio di Bonifica, che aveva lo scopo di garantire il «coordinamento e lo svolgimento in forma unitaria delle attività delle imprese socie, ai fini dello studio, la definizione degli interessi reciproci, l'analisi dei problemi tecnici attinenti lo sviluppo edilizio del comparto».

Si era impegnato, il consorzio, a subentrare ai soci nell'accordo di programma nel 2002 firmato con Provincia e Comune, che prevedeva appunto la bonifica e il ripristino ambientale dell'area.

La città, dal canto suo, ha anche provato a immaginare un percorso di uscita: garantire cioè ai privati amplissime possibilità edificatorie, che avrebbero potuto assicurare ampi guadagni e quindi rendere la bonifica sostenibile dal punto di vista economico. Risultato: il piano Gregotti, che su quelle aree prevedeva tra 320 e 500 mila metri cubi di funzioni miste (residenziale, uffici, commercio). Era il 2011, un attimo dopo la crisi avrebbe decimato le imprese edili trentine e reso quella pianificazione fuori dal tempo. E i terreni di Trento nord sono tornati in un limbo in cui nessuno a messo davvero gli occhi.

Il Ministero si è limitato, nel 2020, all'ordinanza che imponeva un monitoraggio degli inquinanti. Ma oltre a questo non si è andati. Anche se l’allora ministro dell’Ambiente Costa, accompagnato dal parlamentare trentino di Cinque Stelle Riccardo Fraccaro, annunciò clamorosamente tre anni fa “una soluzione entro la settimana prossima”. Ma di settimane ne sono passate tante (ed anche di governi)…

 L'ultima ipotesi di sviluppo l'ha avanzata Albertini, con tanto di progetto: da una parte una collina verde a protezione di un sistema di serre produttive; dall'altra un palazzo di undici piani con albergo e studentato e un centro congressi; in mezzo una piazza proprio sopra ai binari della ferrovia del Brennero. Per ora non se ne fa niente: restano i sigilli della procura.

Anche perché non esiste al mondo un metodo sperimentato di bonifica per aree inquinate da piombo tetraetile. Per anni ha studiato il problema l’allora dirigente provinciale Alverio Camin, ma una soluzione a quanto pare non esiste. Ed ecco le ipotesi: ricoprire tutto con uno strato impermeabile, oppure asportare delicatamente i metri cubi di ghiaia e terra inquinata (180 tonnellate di veleni stimate). Oppure – ancora – realizzare una enorme soletta su pilastri sopra i terreni. E seppellire i veleni dove sono.

Non solo piombo tetraetile (bastano pochi grammi per uccidere un uomo): nell’area Sloi ci sono molte sostanze usate in lavorazione, dal sodio al mercurio. E nell’area ex Carbochimica (una fabbrica che produceva naftalina) l’inquinamento è da sostanze chimiche altamente volatili e potenzialmente cancerogene.

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