Femminicidi / L’intervista

Il fratello di Andreina Maestranzi, la trentina uccisa dal compagno di classe nel 1991: “Non è cambiato nulla”

Era il 1991 e la giovane, studentessa al liceo scientifico Galilei, stava preparando gli esami di maturità. Quel tragico pomeriggio dell'8 aprile venne colpita mortalmente sulle scale di casa, nel cuore della città, in Largo Carducci. L'omicida, Massimo Michelacci, che aveva un coltello da Rambo nascosto nello zaino, fuggì verso, poi fu convinto a costituirsi

APPELLO "Uomini, fate un esame di coscienza: fatelo per mia sorella Giulia"
TRENTO Migliaia di persone in corteo contro la violenza sulle donne
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di Marica Viganò

TRENTO. «Sono passati trentadue anni e siamo daccapo: la società non è cambiata». Giacomo Maestranzi è fratello di Andreina, la diciottenne uccisa con quindici coltellate dal compagno di classe che per lei nutriva un'ossessione. Era il 1991 e Andreina, studentessa al liceo scientifico Galilei, stava preparando gli esami di maturità. Quel tragico pomeriggio dell'8 aprile venne colpita mortalmente sulle scale di casa, nel cuore della città, in Largo Carducci. Andreina avrebbe compiuto 19 anni il 28 aprile. L'omicida, Massimo Michelacci, che aveva un coltello da Rambo nascosto nello zaino, fuggì a bordo della sua Golf verso il Veneto; raggiunse a Chioggia un medico amico di famiglia, che lo convinse a costituirsi. La morte di Andreina Maestranzi scosse la città, così come furono potenti le parole di perdono della sua famiglia nei confronti del giovane che la uccise. Andreina colpita con un coltello perché rifiutava le avances del compagno di classe. Giulia Cecchettin, 22 anni, picchiata e ferita a morte con una lama perché aveva detto stop alla relazione con il giovane che aveva conosciuto all'università, a Padova. Non si può non ripercorrere nella tragedia accaduta in Veneto nei giorni scorsi il dramma di 32 anni fa a Trento.
«Quando ho saputo della scomparsa di quella ragazza ho pensato subito a mia sorella e al peggio - spiega Giacomo Maestranzi - Ho temuto che l'epilogo fosse quello e così purtroppo è stato. Ciò significa che in trent'anni la società non è cambiata, che è trascorso tanto tempo ma siamo nella stessa situazione».
Eppure è passata una generazione fra gli anni Novanta ed oggi: quale può essere il problema di questo stallo nell'evoluzione della società, nella pratica del rispetto?

«Oggi il vero problema credo che sia l'individualismo, che si collega all'egoismo. Interessa il proprio piccolo, l'immediato, più del contesto, delle relazioni sociali. E purtroppo nulla è cambiato nel rapporto fra l'uomo e la donna, sono ancora troppe le situazioni drammatiche. Da inizio anno, come ho sentito oggi, sono state uccise più di 100 donne: la sensazione è che ci sia un aumento della violenza. E il caso di Giulia è simile a ciò che è accaduto a mia sorella: sia per la giovane età, sia perché i ragazzi che hanno tolto loro la vita erano compagni di studio».
Parlare di più ai giovani di rispetto e di non-violenza potrebbe essere una soluzione?
«Il punto non è solo il parlare del problema, perché deve essere un parlare non fine a se stesso. Il punto è interrogarsi su come è mutata la società in questi trent'anni. E la risposta è che su questo aspetto non c'è stato alcun cambiamento, almeno non in positivo: non siamo cresciuti culturalmente come rapporti sociali».
I suoi genitori - sua madre Rosa e suo padre Luigi che è scomparso nel 2021 - perdonarono l'omicida di Andreina. Tornando al caso di Giulia, la sorella ha parlato di cultura di patriarcato e ha chiesto di non fare un minuto di silenzio, ma di bruciare tutto.
«Il minuto di silenzio, quando passa, tutti se ne dimenticano. Il minuto di silenzio non basta. Culturalmente dobbiamo crescere, discutere del problema a partire dalla scuola. Si parla tanto di progresso e poi sul rispetto reciproco siamo fermi. Ho letto che il padre del ragazzo che ha ucciso Giulia è andato alla fiaccolata in memoria della vittima e ha detto di voler parlare con suo figlio: è un atto di coraggio e di forte impegno, perché dimostra la volontà di contestare ciò che ha fatto il figlio».

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