Giustizia / La sentenza

Anziano rinchiuso per anni nel castello di famiglia, il figlio condannato: mirava ad avere tutta l'eredità

A fare causa sono state la madre e la sorella dell’imputato: riconosciute vessazioni, minacce e sequestro di persona. Il quarantenne si prende tre anni, il pm ne aveva chiesti 5 di reclusione

BOLZANO Lite per l’eredità contesa del prete

TRENTO. C'è un castello, c'è il blasone della nobiltà. E come nelle fiabe, ci sarebbe stato anche un prigioniero: a stabilirlo è stato il tribunale di Trento, che lunedì ha condannato un quarantenne residente in una valle trentina alla pena di tre anni con le pesanti accuse di maltrattamenti e sequestro di persona. Perpetrati ai danni dell'anziano genitore.

Dall'autunno del 2013 alla primavera del 2019 il giovane avrebbe infatti costretto il padre ora novantenne a rimanere segregato nel maniero di famiglia, senza poter vedere né gli altri congiunti - a partire dalla moglie e dall'altra figlia, causando loro grandi sofferenze - né amici o altre persone, limitandone non solo la libertà di movimento ma anche le più semplici comunicazioni.

Per di più, senza che quella riservata all'anziano, novantenne, fosse per così dire una "gabbia dorata": secondo l'accusa, in base a elementi raccolti anche dalle forze dell'ordine nel corso di una perquisizione nella struttura, il quarantenne avrebbe messo in atto condotte omissive delle cure igieniche e mediche di cui il padre necessitava, spesso non curandosi neppure che la temperatura all'interno dei locali del maniero fosse adeguata ad una salubre permanenza dell'anziano, che poteva contare unicamente sulla presenza - non continuativa - di un badante.

Il tutto - stando alla ricostruzione in base alla quale il pubblico ministero Maria Colpani aveva chiesto una pena ancor più severa, pari a cinque anni - sarebbe stato motivato dalla volontà del quarantenne di escludere gli altri familiari non solo dalla gestione del patrimonio di famiglia ma anche da eventuali lasciti.

Sempre in base all'accusa, il figlio si sarebbe assicurato - tramite la convivenza pressoché esclusiva con il padre all'interno del castello - il pieno controllo sull'anziano, al quale negli anni avrebbe fatto firmare atti tesi a mantenere nella sua esclusiva disponibilità beni mobili e immobili, con lo scopo di essere poi nominato erede universale.

Il contesto in cui la vicenda si è sviluppata è quello segnato da rapporti familiari tesi: un quadro nel quale il quarantenne - rappresentato dagli avvocati Giuliano Valer e Alessandro Gamberini, facendo leva sull'assenza di interdizioni o inabilitazioni in capo al padre pur in presenza di una sua fragilità, avrebbe saputo giocare sulla natura volontaria dei comportamenti e dell'isolamento del genitore.

Una realtà che è sempre stata messa in dubbio dal resto della famiglia e su cui anche le forze dell'ordine avevano potuto muovere perplessità a seguito della perquisizione effettuata - su richiesta di moglie e figlia dell'anziano - nella dimora storica nella primavera di cinque anni fa. Una realtà che, anche a seguito dei rilievi mossi a seguito di quella perquisizione, è stata definitivamente confutata dall'impianto accusatorio sulla cui solidità si è espressa l'autorità giudiziaria, dando così ragione alla moglie e alla figlia dell'uomo che da ormai dieci anni avevano sempre agito contro il quarantenne contestandogli il comportamento vessatorio nei confronti del padre.

Una situazione nella quale le due donne - assistite dall'avvocato Nicola Stolfi - avrebbero patito non soltanto danni di natura economico patrimoniale ma soprattutto umano, stante l'impossibilità per un lungo periodo di poter non solo vedere ma anche più in generale intrattenere i normali rapporti affettivi con il novantenne.

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