Welfare / L’analisi

Costi insostenibili, miopia politica, ritardi e burocrazia: ecco cosa minaccia il futuro del welfare trentino

Nell’ambito della discussione aperta con gli “Stati generali”, la lucida analisi di Massimo Occello, già presidente della Consulta provinciale per le Politiche Sociali

di Massimo Occello

Il nostro documento “Essenziale” è una visione generale del Welfare del futuro ricca di spunti importanti, frutto di un serio lavoro comune.

Chiede un dibattito ampio ed approfondimenti (di tipo giuridico, economico e organizzativo) che, partendo dalla chiarezza sulla situazione presente e del pregresso, concorrano a formulare proposte concrete ai decisori.

Ma, contemporaneamente, il documento chiede uno sguardo più alto e più largo (che non c’è) sulle politiche sociali e della salute. Il tema infatti è complesso, e non può essere compreso (né gestito) attraverso approcci parziali, mentre i punti di vista sono molti e ciascun interessato vede solo una parte del “nodo” (pensando che sia tutta la verità) ed opera di conseguenza, ritenendo di fare il suo dovere.

Provo a chiarire ed approfondire il nodo per temi, e trarne qualche prima indicazione.

Le Cooperative, le Associazioni, il Privato sociale

Le cooperative, le associazioni e – più in generale - tutto il mondo del privato sociale hanno visto progressivamente ridursi a zero, negli ultimi anni, i propri esigui margini di profitto (indispensabili per investimenti, formazione e motivazione del personale, ricerca, innovazione, ammodernamento tecnologico, sicurezza ecc.).

Vedono la fuga irrefrenabile di personale qualificato, formato negli anni a proprie spese, verso impieghi meglio pagati, più stabili e meno faticosi (richiesti nelle strutture pubbliche e private) mentre si allarga la forbice salariale con chi rimane sul territorio. Registrano l’aumento sorprendente dei costi (personale, carico burocratico, inflazione, energia, nuova normazione e giurisprudenza ecc.) e temono quelli ulteriori imminenti, mentre constatano l’abituale distrazione politico-amministrativa e l’inerzia istituzionale sulla loro situazione di minorità.

Fatti, questi, rappresentati da tempo, ma ora certificati dal Convegno di settore dalla Cooperazione sociale a maggio, evidenziati nell’Assemblea della Federazione a giugno, esposti nell’Audizione conoscitiva di agosto presso il Consiglio provinciale dagli stessi Enti oggi riuniti a rappresentare gli interessi di chi opera nei servizi sociali. Qui si constata l’insostenibilità dell’equilibrio dei conti nella maggioranza delle nostre realtà in assenza di interventi di sostegno (anche sui contratti pubblici esistenti) e si segnala la disparità di trattamento di quelli annunciati (con forte e abituale dissimmetria a favore delle strutture).

Gli Utenti

Vogliono, giustamente, servizi pubblici gratuiti o a prezzo controllato, nonostante i non indifferenti tempi di attesa, ma non esitano a rivolgersi ad interlocutori privati capaci di offrire prezzi molto più bassi (e, però, qualità proporzionata) perché hanno pochissimi adempimenti formali per “l’autorizzazione” all’esercizio dell’attività, di fatto non hanno controlli, e possono adottare contratti liberi, con salari di sopravvivenza (modello rider).

Ma una parte rilevante, specialmente nel mondo anziani, si rivolge al nero (con rischi evidenti). Qui si constata che non esiste in Trentino un mercato privato sociale ben regolato ed affidabile, e le cooperative che hanno provato ad entrarvi (con i loro contratti standard, i loro accreditamenti, i loro controlli, le loro certificazioni, e quindi prezzi più elevati) sono stati costretti ad abbandonarlo per non fallire (è il caso di “Trentino cura” che chiuderà l’attività tra pochi giorni).

Nessuno osa “toccare il nero”. Sarebbe invece opportuno farlo presto per costruire un mercato privato serio e chiaro a garanzia dei cittadini.

I sindacati

Vedono (e si focalizzano) sul salario e le condizioni di lavoro del personale secondo il loro mandato e denunciano, giustamente, le disuguaglianze e la forbice tra lavoro pubblico e lavoro privato nei servizi sociali. Ma fanno fatica a vedere la differenza tra le fonti dei relativi finanziamenti. Il privato sociale deve sudare “ricavi” stipulando contratti privati (difficili, come abbiamo visto) o vincendo appalti (o negoziando altre forme di affidamento non competitive).

Per il lavoro pubblico bastano “atti amministrativi” di copertura, a carico di bilancio della Provincia. Qui si richiede un’attenzione sindacale portata anche sul tema della sostenibilità economica di ogni costo aggiuntivo, anche normativo, che viene posto a carico dei soggetti privati che gestiscono attività sociali. Non basta “portare a casa” un contratto nuovo, rafforzare un diritto a valle di una sentenza, irrigidirsi su una trattativa o ottenere dalle Istituzioni regolazioni più favorevoli ai lavoratori (ma che comportano nuovi oneri).

Occorre anche e verificare se i nuovi costi siano sostenibili dalle cooperative e, se così non fosse, valutare preventivamente le possibili soluzioni politiche di sostegno. Perché, sotto il peso di costi insostenibili, i privati possono fallire.

Gli Ordini professionali

Solitamente impegnati a presidiare la sanità e le professioni connesse, di recente hanno visto e colto, giustamente, l’opportunità offerta dalla tardiva attuazione della legge 13/2007 per garantire nuovi sbocchi professionali ai loro associati, in linea con la volontà istituzionale di elevare la qualità dei servizi sociali in Trentino.

Questo si è visto in modo evidente sul catalogo dei servizi e sugli accreditamenti, che hanno reso obbligatoria l’assunzione di professionisti (inquadrati ai livelli elevati che loro competono). Peccato che nessuno si sia preoccupato dell’impatto economico e della sostenibilità delle nuove prescrizioni sui bilanci del privato sociale. Qui si evidenzia che l’innalzamento (nominale e burocratico) della qualità dei servizi è stato ottenuto caricando di ulteriori costi un settore già in difficoltà, senza incrementare i finanziamenti pubblici (anzi spesso contenendoli), come si può constatare nelle basi d’asta insufficienti e dagli appalti andati deserti ma anche dalla minore quantità dei servizi richiesti a fronte di bisogni aumentati.

Il volontariato

E’ una risorsa preziosa, interessata da una transizione generazionale in atto, che va valorizzata e protetta. Credo si ecceda nel fare affidamento sul volontariato per compiti di cura e supplire alla carenza di fondi pubblici dedicati ai bisogni sociali primari. Sta emergendo una mentalità pubblica e dunque politico-istituzionale che tende ad inquadrare, organizzare e burocratizzare anche la gratuità del dono del tempo. Qui si annota che, anche con l’aiuto dei sindacati, occorre presidiare meglio i confini del lavoro (autonomo o indipendente) dal dono di sé e non pensare (o peggio chiedere) che il privato sociale possa in qualche modo superare quei limiti

La Rappresentanza del privato sociale

Questo evento, anche nella fase preparatoria, ha visto affiancati a Consolida, promotrice, tutti i soggetti che rappresentano il privato sociale: Federazione della cooperazione, Consulta provinciale per le politiche sociali, Coordinamento nazionale delle comunità di accoglienza, Centro servizi per il volontariato. E un fatto importante e molto recente, perché ciascuno di questi soggetti ha una sua storia, un suo approccio culturale, un suo punto di vista, le sue priorità, i suoi compiti istitutivi.

Nel passato ciascuno ha spesso portato le proprie istanze alle Istituzioni in modo autonomo e talora concorrenziale. Qui si plaude a questo risultato, che non annulla le differenze, i punti di vista, le sensibilità ma fa ben sperare in una stabile postura concordata sui problemi e, forse, anche in una futura rappresentanza coordinata che farebbe bene all’intero settore.

La Provincia Autonoma e l’origine del “nodo”

Sia la parte politica sia quella amministrativa della Provincia hanno visto, negli ultimi anni, soltanto l’urgenza di dare attuazione alla legge 13/2007, lasciata in naftalina per tutto il decennio precedente. Verso la fine del suo mandato la Giunta Rossi, nel 2017, ha cominciato a correre costituendo tavoli, richiedendo consulenze esterne, attivando anche la Consulta per le politiche sociali come canale di ascolto, ma non ha mai pensato di toccare l’impianto di quella normazione costruita nel corso della legislatura 2003-2007 ed approvata alla fine di questa. Un’era geologica prima, un tempo antecedente la grande depressione del 2008: politicamente, socialmente e finanziariamente molto diverso da quello in cui si stava operando in quel momento.

Era evidente già allora che quella legge non era più sostenibile, ma il pilastro del benessere trentino non fu toccato: silenzio e avanti. Ci si aspettava che la nuova Giunta avrebbe visto l’errore e valutato diversamente. Ma non è successo.

In continuità con la precedente Amministrazione, negli anni 2018-19 sono stati approvati: il Regolamento di attuazione della vecchia legge, il Catalogo dei servizi, le Linee guida per l’accreditamento e l’autorizzazione, le linee guida per gli affidamenti. Una corsa tra l’Europa che voleva più concorrenza e la Corte dei Conti che minacciava provvedimenti se non si fossero fatte presto le gare e gli altri affidamenti. Queste scelte, questi fari (UE e Corte Conti), questa fretta, queste paure, questa carenza di ascolto e la postura china e disunita dei nostri rappresentanti ci hanno portato fin qui.

Questo è il “nodo” che ha causato la nostra miseria attuale.

Il Catalogo ci ha caricato di nuovi costi; l’Autorizzazione senza vincoli e controlli non ha dato al mercato privato regole sane che ci avrebbero consentito l’accesso e limitato il nero; l’Accreditamento ci ha caricato di burocrazia, nuovi vincoli ed altri costi: in più ha trasformato le gare libere in gare “riservate”, il che limita a tre anni la durata degli affidamenti e si applica loro il “principio di rotazione”. Dopo tre anni, chi ha vinto un appalto non può più partecipare a una gara con il medesimo oggetto.

Per molti di noi una sentenza di morte annunciata. Da anni denunciamo la cosa. Nel giugno 2022 la Provincia si è impegnata a rimuovere quell’ostacolo in un accordo scritto con la Federazione. Poi solo silenzio.

Qui si palesa ancora – perché definitivamente consti - la necessità di prendere in mano la Legge 13/2007 e tutti gli atti conseguenti, per adattarli al nuovo contesto e ai nuovi bisogni. Sperando che questa volta Politica e Amministrazione guardino e vedano la realtà nel suo insieme.

Può essere un impegno prioritario per la prossima Legislatura.

Conclusioni

Come abbiamo cercato di mostrare, ciascuno degli attori interessati al Welfare e ai Servizi sociali ha visto un pezzo della realtà e ha agito di conseguenza (come ha saputo, potuto, voluto) secondo il suo punto di vista e il suo interesse contingente. Tutti o quasi hanno pensato e pensano di essere nel giusto. Nessuno ha visto l’insieme del “nodo” e di conseguenza nessuno è riuscito a perseguire l’interesse generale, neppure chi istituzionalmente ne aveva il dovere.

Ora, dopo l’ondata della pandemia che ha stravolto tutti gli equilibri e mostrato il re nudo, forse è più chiara la necessità di salire un po' più in alto, dare uno sguardo panoramico e prendere il sacco dalla cima. l “nodo” è lì dentro, nel sacco, e per scioglierlo bisogna aprirlo e mostrarlo a tutti. E’ il compito che ci attende. Ci ha provato nei giorni scorsi il prof. Carlo Borzaga, che ci ha invitato ad avere il coraggio di riscrivere la legge quadro (che è il pilastro problematico del Welfare trentino) e tutti gli atti derivati.

Adeguarli alla realtà e renderli sostenibili.

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