Trento / Il lutto

Addio a Piergiorgio Aloisi, il cassiere che fu preso in ostaggio nella sanguinosa rapina alla Bnl di via San Pietro

Quel giorno, il 27 settembre 1977, rimase ferito e si salvò miracolosamente nel fuoco incrociato della sparatoria che in pieno centro storico provocò tre vittime: un maresciallo della polizia e due dei quattro rapinatori. Ieri, lunedì, l'ultimo abbraccio al bancario in pensione, originario del Lomaso, che aveva 87 anni

PODCAST La sanguinosa rapina in centro a Trento, i morti sulla strada

TRENTO. La città ha dato l'ultimo abbraccio a un testimone di una pagina tragica della cronaca locale: ieri, lunedì 18 settembre, al cimitero monumentale, si sono svolti i funerali di Piergiorgio Aloisi, il cassiere della Banca nazionale del lavoro, preso in ostaggio e ferito nella sanguinosa rapina del 27 settembre 1977. Quel giorno fu ucciso dai malviventi il maresciallo di polizia Francesco Massarelli, oggi ricordato con una targa in via San Pietro, nel cuore del centro storico di Trento, che 46 anni fa diventò il teatro del più pesante episodio criminale avvenuto nel capoluogo. Nella sparatoria rimasero uccisi anche due dei quattro rapinatori, mentre un angolo molto frequentato della città piombava nel terrore, una scena da film, ma purtroppo era tutto vero.

Di quel giorno a Piergiorgio Aloisi rimase non solo il ricordo: ne portava i segni anche nel braccio sinistro, dove uno dei proiettili sparato dai banditi lo aveva ferito gravemente. "Sono un miracolato", ripeteva spesso a chi gli chiedeva di quei momenti tragici. E ricordava che si affidò alla preghiera, lungo il tratto di strada da via San Pietro al fondo di via Suffragio, in pieno conflitto a fuoco fra polizia e banditi.

Piergiorgio Aloisi era nato il 4 febbraio del 1937 a Dasindo nel Lomaso,discendente diretto del poeta Giovanni prati. Visse poi 25 anni a Bressanone dove entrambi i genitori erano maestri elementari per poi tornare a in Trentino e trovare lavoro alla Bnl in via san Pietro.

Alla cerimonia funebre una folla commossa ha dato l'addio a Aloisi:, tanti ex colleghi, amici e parenti, che si sono stretti alla moglie Giulisa Guella e ai figli Alberto e Silvia. Presente anche l'associazione polizia di Stato, con Raffaele Sinapi e Antonino Calì, quest'ultimo fu tra gli agenti intervenuti durante la rapina e coinvolti nella sparatoria. Un altro poliziotto, Giuseppe Romano, rimase gravemente ferito. Ieri in cimitero c'erano anche gli alpini dell'Ana, associazione che ha visto Aloisi attivo prima nella sezione di Trento e poi in quella di Piedicastello.

Aloisi era quarantenne quando visse quell'episodio drammatico e sanguinoso, un ricordo pesante che non lo abbandonerà più, nel resto della sua vita.

Sembrava un tranquillo martedì di inizio autunno in città, quando la quiete fu scossa dalla rapina: i malviventi entrano nella filiale subito dopo la pausa pranzo assieme ai dipendenti della banca. Poi la banda scatena l’inferno. E fuori, tre morti in strada: un maresciallo della polizia ucciso dai rapinatori, e due dei quattro rapinatori freddati mentre stavano cercando di fuggire.

Quattro giovani criminali pronti a tutto, rapinatori già esperti che solo pochi giorni prima avevano messo a segno un colpo in banca a Bolzano. Ma via San Pietro a Trento è tutta un’altra cosa: quella banca, la Banca nazionale del lavoro, è situata in una zona da cui fuggire è quasi impossibile. Sono le 14.55, quando i dipendenti della Bnl stanno rientrando in ufficio dalla pausa pranzo: è in quel momento che i malviventi entrano in azione.

[Cerimonia in via San Pietro, per la targa in memoria del maresciallo di polizia Francesco Massarelli, vittima dei rapinatori]

Dopo la tragedia, Gianni Zotta, noto fotoreporter trentino, fu il primo fotografo ad arrivare sul posto. «La mia prima immagine - ha raccontato Zotta, ripercorrendo con la mente quei momenti - ha ripreso l’Aloisi che urlava di essere un ostaggio e non un rapinatore. In piazza Raffaello Sanzio la Golf aveva a bordo un rapinatore già morto, mentre un secondo era ferito gravemente e lo stavano soccorrendo perché non si soffocasse a causa della lingua rovesciata: fu tutto inutile perché poco dopo morì anche lui.

Gli altri due rapinatori, invece, erano già riusciti a fuggire rubando una macchina tra quelle ferme all’incrocio. Ero stato il primo a scattare delle fotografie della rapina. Gli inquirenti mi hanno quindi chiamato per avere le immagini e dare così un’identità ai rapinatori che ancora non si sapeva chi fossero. Mi ricordo bene lo sgomento della gente, erano tutti increduli che un fatto di sangue di quella gravità potesse essere accaduto a Trento».

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