Città / Giustizia

Accusato di sfruttare una prostituta: 30enne a processo ma si dichiara innocente

Lui si è sempre dichiarato non colpevole, in quanto in quel periodo egli stesso lavorava, si manteneva e contribuiva alle spese della casa. La ragazza aveva precisato che si prostituiva per scelta e non per obbligo

TRENTO. Voler bene ad una donna che decide liberamente di vendere il proprio corpo, frequentarla, vivere assieme a lei non significa automaticamente trarre vantaggio economico dalla prostituzione. La giudice Claudia Miori ha assolto perché il fatto non sussiste un trentenne di origine kosovara che era finito a processo con l'accusa di sfruttare la giovane convivente. Lui si è sempre dichiarato innocente, in quanto in quel periodo egli stesso lavorava, si manteneva e contribuiva alle spese della casa.

Anzi, era pure geloso e non gradiva che la fidanzata si concedesse ad altri uomini, ma non era riuscito a convincerla a smettere. Lo straniero, per il quale il pm Davide Ognibene ha chiesto la condanna ad un anno e 4 mesi, era stato segnalato all'autorità giudiziaria dalla polizia: nell'ambito di un'operazione di controllo della prostituzione in città, nel 2017, gli investigatori della squadra mobile avevano fermato in strada ed identificato la giovane, nata in Romania. Dai controlli incrociati - le verifiche al domicilio ad esempio, il traffico telefonico e le conversazioni registrate - emergeva la costante presenza del convivente nella quotidianità della ragazza. Sentita in questura, lei stessa aveva precisato che si prostituiva per scelta e non per obbligo, che era totalmente libera nello svolgimento dell'attività, senza il controllo di nessuno.

Tuttavia, dato che era appena stata lasciata dal convivente, aveva gettato un po' di veleno sulla loro storia, raccontando ad esempio che era lei che pagava tutto, che lo manteneva. Sul ruolo dello straniero si sono dunque concentrate le indagini, che hanno portato la procura a formulare l'accusa di sfruttamento della prostituzione. In aula è stata sentita la stessa giovane, che ha ribadito che è una sua libera decisione quella di vendere il proprio corpo, dato che si prostituiva prima di conoscere l'imputato e ha continuato anche quando la convivenza era finita.

Ha poi ricordato un particolare, che probabilmente ha contribuito a sgravare l'ex dal peso dell'accusa: ha spiegato che era stata lasciata per gelosia e che nel periodo della convivenza l'atteggiamento possessivo dell'ex quasi le impediva di lavorare. Ora la giovane, che continua a svolgere il mestiere più vecchio del mondo, ha un altro compagno, mentre l'ex convivente finito a processo si è sposato con una connazionale. Se per la pubblica accusa la giurisprudenza è granitica sul fatto che basta un contributo - seppur minimo - alla vita di coppia perché si configuri il reato di sfruttamento, la difesa dell'imputato (in aula è intervenuta l'avvocata Angelica Domenichelli) ha sostenuto che in questo caso manca l'offesa al bene protetto dalla norma, perché il giovane non svolgeva né attività di controllo né di reclutamento.

Non agevolava la giovane, anzi era geloso. L'avvocata ha richiamato una sentenza della Corte costituzionale che, pur ricordando che la legge punisce tutte le attività e le persone che traggono beneficio dal meretricio, evidenzia anche che spetta ai giudici una valutazione caso per caso. Ma. Vi.

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