Lavoro / Intervista

Il segretario della Cgil lancia il progetto: «In Trentino è giunta l'ora del sindacato unico»

Grosselli: nei giorni scorsi la prima riunione operativa con Cisl e Uil per eliminare da subito ogni idea di tavoli separati. «Servizi sul territorio da ripensare al più presto: patronati, centri di assistenza fiscale, sportelli casa, centro consumatori»

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“Se i salari sono bassi la colpa è anche delle imprese”

di Pierluigi Depentori

TRENTO. Un sindacato unico in Trentino al posto di Cgil, Cisl e Uil, per affrontare con ben altra forza le sfide di un mondo del lavoro in costante evoluzione. Un progetto dirompente che per Andrea Grosselli, segretario provinciale della Cgil, è una priorità («anzi, una necessità») che guiderà il suo secondo mandato, avviato con la riconferma al vertice a fine gennaio. «I tempi sono maturi, e il Trentino ha la necessità di continuare ad essere una terra di sperimentazione», dice Grosselli.

Il quale, nei giorni scorsi, ha avanzato il progetto ai segretari di Cisl e Uil Michele Bezzi e Walter Alotti in una riunione in cui è stato sottoposto un documento di intenti per fare scattare la prima fase operativa. «È un progetto che nasce da lontano, fin dagli anni Novanta, all’epoca del segretario Cgil Sandro Schmid che aveva fatto due grandi innovazioni: mettere al centro l’unità sindacale come obiettivo finale ed inserire nello statuto l’autonomia come principio fondativo del sindacato trentino».

Grosselli, ma Cisl e Uil cosa ne pensano?

Dal 2010 in avanti Cgil, Cisl e Uil a livello territoriale hanno sempre condiviso le scelte di fondo. Sulle politiche pubbliche, sugli interventi legati al mercato del lavoro, sulle ragioni dell’autonomia e sulla necessità di spingere nella direzione di una vera Euroregione, come destino delle politiche del lavoro.

Quindi il sindacato unico come la chiusura del cerchio di un percorso comune?

Ho maturato la convinzione che vada formalizzato quello che Cgil, Cisl e Uil del Trentino hanno compiuto in questi anni. Una forte unità di intenti che per me spinge in una direzione ben precisa: partire da un patto federativo - il documento che ho sottoposto nei giorni scorsi - in cui i rapporti con le controparti, cioè Associazioni imprenditoriali e Provincia, saranno sempre gestiti a livello confederale in maniera comune.

Grosselli (Cgil): «È arrivato il momento: sindacato unico in Trentino»

Un sindacato unico in Trentino al posto di Cgil, Cisl e Uil, per affrontare con ben altra forza le sfide di un mondo del lavoro in costante evoluzione. Un progetto dirompente che per Andrea Grosselli, segretario provinciale della Cgil, è una priorità («anzi, una necessità») che guiderà il suo secondo mandato, avviato con la riconferma al vertice a fine gennaio.

Niente più tavoli separati?

Esattamente. Qui in Trentino abbiamo sempre trovato le ragioni dell’unità anche quando a livello nazionale c’erano divisioni.

Ma un conto sono le segreterie provinciali, un conto sono le singole categorie. Non tutti prenderanno bene la sua proposta...

È vero, ma proprio per questo l’obiettivo è quello di istituire una sorta di “camera di compensazione” in cui, di fronte alle difficoltà di dialogo tra singole sigle di categoria e per prevenire eventuali azioni che mirano ad accordi separati, le segreterie provinciali possano avere un ruolo di garante per superare gli scogli.

E sul fronte organizzativo? Si può pensare all’unificazione di alcuni servizi già nel breve periodo?

Assolutamente sì, e anche questo è stato discusso nella riunione con Bezzi ed Alotti. Ci sono una serie di servizi sul territorio che vanno ripensati e resi condivisi, soprattutto nelle valli: Patronati, Centri di assistenza fiscale, Sportelli casa, Centro consumatori, la gestione della Formazione.

Un sindacato unico potrebbe intercettare in maniera più efficace le nuove generazioni, quelle che più soffrono la precarietà e che sono più difficili da intercettare?

La fotografia che abbiamo davanti è quella di un mondo del lavoro che sta cambiando velocemente. L’anno scorso abbiamo chiesto al Dipartimento di Sociologia dell’Università di Trento di fare un’analisi dei nostri iscritti. In dieci anni, dal 2010 al 2020, gli iscritti maschi sono passati dal 61% al 53%, mentre le donne sono cresciute dal 39% al 47%. Se guardiamo all’età, gli iscritti under 40 sono passati dal 27% del 2010 al 22% del 2020, mentre gli over 61 sono cresciuti dal 28 al 37%.

Sono trend inesorabili...

Proprio così. Solo un folle potrebbe pensare che la piramide demografica che si sta rovesciando (sempre più anziani, sempre meno giovani) non avesse ripercussioni sul mondo del sindacato. Abbiamo anche un lieve aumento degli iscritti stranieri. Sono dinamiche fondamentali.

A volte il sindacato è sembrato molto lento nell’affrontare questi nuovi mondi. Molto più “comodo” tutelare i lavori tradizionali, quasi sempre a tempo indeterminato.

La distanza del sindacato non è legata all’età, ma alle condizioni del lavoro. Ma cerchiamo di lavorare anche in questa direzione e di sperimentare nuovi modelli sindacali, come Nidil, con cui intercettiamo i lavoratori atipici, le partite Iva. Dobbiamo avere sempre più il coraggio di non pensare ad azioni che possano “portare un tesseramento” immediato, ma di dare effettive risposte ai bisogni.

In che modo?

Alcuni istituti vanno cambiati al più presto. A partire dall’apprendistato, che prevede una riduzione forte del salario contrattato dalle organizzazioni sindacali e dalle associazioni datoriali con la scusa che “i giovani devono formarsi”. Ma formarsi in che senso? Quasi tutti i nostri giovani hanno quantomeno il diploma, con alta qualificazione professionale, moltissimi sono laureati. I gap salariali che ci sono oggi non sono più giustificabili.

Cosa pensa del decreto lavoro varato dal governo proprio l’1 maggio, giorno della Festa del lavoro?

Un paradosso. Il mercato del lavoro oggi ha una dinamica molto positiva, c’è una forte domanda da parte delle imprese che faticano a trovare lavoratori. Se la flessibilità va bene nei momenti di crisi perché le aziende possono così assumere senza caricarsi di troppi oneri, oggi dovrebbe essere il contrario. Invece il governo Meloni ha deciso di aumentare la precarietà allargando le maglie dei contratti a termine.

Però c’è stato l’abbassamento del cuneo fiscale...

Sta passando l’idea che l’unica logica per valorizzare il lavoro è tagliare il costo del lavoro, cosa che ormai non accade più nemmeno in Cina. In realtà il cuneo fiscale è più alto in Germania, Austria, Belgio, Francia: paesi che negli ultimi trent’anni hanno aumentato in termini reali le retribuzioni in media del 25%. Tutto nasce dalla capacità di investire: maggiori investimenti portano più produttività e maggiore capacità di remunerare il lavoro e in alcuni casi anche di ridurre l’orario di lavoro. Vuole un esempio? In Italia si lavora in media 1.750 ore all’anno, in Germania siamo a 1.360. L’Italia è in una spirale negativa da cui è difficile uscire.

Cosa può fare un sindacato moderno?

Scommettere sulla partecipazione, così come avviene in Germania che ha messo in piedi un modello vincente. Qui in Trentino siamo troppo timidi su questo tema: sia i sindacati, che gli imprenditori. Con le aziende va condivisa la capacità di investire. Abbiamo due snodi decisivi anche in un territorio come il nostro: i processi di digitalizzazione, che creeranno nuovi lavori, e la lotta ai cambiamenti climatici, che modificheranno gli attuali paradigmi in numerosi settori, dall’agricoltura al turismo, dall’edilizia al sistema manifatturiero.

Lei cita spesso il modello tedesco. In Trentino stiamo guardando troppo a sud e poco a nord?

Sì. Oltre il Brennero, a partire dall’Austria e dalla Germania, il sindacato unico c’è già. Un territorio piccolo come il nostro dev’essere più coeso, sennò la nostra Autonomia rischia di spegnersi un po’ alla volta. E così deve fare la politica: al di là di chi vincerà le prossime elezioni provinciali, c’è la necessità di rafforzare l’asse con Bolzano e Innsbruck, per essere poi la vera porta verso il Mediterraneo. La politica deve guardare a nord con maggiore forza, come avveniva in passato.

A cosa pensa, in particolare?

Piccolo è bello è uno slogan che non va più bene per un Trentino moderno. Non capisco perché il processo di fusione dei Comuni trenini si sia di fatto bloccato: in Alto Adige ci sono 116 Comuni e la spinta verso le gestioni associate è fortissima, in Trentino sono 166 e quella stessa spinta vigorosa non la vedo. Se vogliamo dare più potere alle periferie, c’è bisogno di una massa critica più forte: Kompatscher l’ha capito e si muove di conseguenza. Non posso dire lo stesso di Fugatti. La ricerca del consenso facile, al grido di “Diamo tutto a tutti”, rischia di indebolire le periferie. Per dare gli stessi servizi di Trento e Rovereto c’è necessità di avere Comuni di valle più grandi. Pensiamo ad un tema come l’acqua: che senso ha avere singole amministrazioni che gestiscono piccoli acquedotti, senza una spinta a costruire bacini più grandi che diano una forte prospettiva al futuro? 

Cosa le ha risposto il segretario nazionale Landini quando le ha detto che in Trentino vuole fare un sindacato unico?

Non gliel’ho ancora detto. Ma anche nel sindacato il Trentino gode di una autonomia assoluta: non ci saranno problemi.

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