Femminicidio / Tribunale

Agitu, le motivazioni della sentenza: «Uccisa crudelmente. Confessione non spontanea»

Depositate le pagine della sentenza d’appello nei riguardi di Suleiman Adams, che uccise la pastora etiope a Frassilongo: «Non voleva disprezzare o vilipendiare il cadavere della donna, non ha inteso offenderla quando era morta ma voleva violentarla quando era ancora viva»

CONDANNA Confermati i 20 anni di carcere anche in appello 
IL DELITTO Una morte che ha scosso l'Italia
LA FAMIGLIA «Violenza terribile, diteci perché è successo»
VIDEO La ricostruzione dell'omicidio

di Mara Deimichei

TRENTO. «La plausibile rabbia che l'imputato nutriva nei confronti della donna, non attenua la gravità del fatto commesso; avrebbe potuto coltivare altre strade per il riconoscimento dei propri diritti». E «l'imputato ha crudelmente, violentemente, selvaggiamente e reiteratamente colpito la donna; allorquando la stessa era agonizzante, abusando delle sue condizioni di inferiorità psico-fisica, ha compiuto atti sessuali raccapriccianti».

Due frasi estrapolate dalle 20 pagine che formano le motivazioni della sentenza d'appello contro Suleiman Adams. Appello che ha confermato la condanna a 20 anni decisa in primo grado per l'omicidio volontario e la violenza sessuale contro Agitu Ideo Gudeta. Condotta di elevata gravità «Non vi è disagio alcuno che possa attenuare una condotta di così elevata gravità. Non rileva la giovane età dell'uomo - scrive il presidente estensore, Gabriele Protomastro - non solo perché si discute di un soggetto ultra trentenne al momento del fatto, ma anche perché non emerge alcun tratto di immaturità».

Nei motivi d'appello che erano stati presentati dall'avvocato Nicola Zilio, difensore del pastore ghanese, si chiedeva che per l'uomo fosse cancellato il reato di violenza sessuale e che la condanna fosse per omicidio e vilipendio di cadavere. Per il difensore l'atto sessuale sarebbe avvenuto quando Agitu era morta e quindi il reato da contestare non era quello di violenza sessuale ma quello di vilipendio di cadavere. Aggravato. «Il suo è stato un gesto osceno - aveva spiegato il legale - ma va condannato per il reato che ha commesso. Come ha scritto il pubblico ministero non c'è stata alcuna pulsione sessuale, ma odio, sfregio».

La difesa aveva chiesto anche il riconoscimento delle generiche evidenziando come il comportamento di Adams sia stato di collaborazione. «È andato lui incontro ai carabinieri - aveva motivato - ha fatto trovare l'arma del delitto, non si è liberato dei suoi vestiti insanguinati. Ha atteso l'arrivo delle forze dell'ordine in posizione fetale nella stalla e ha ammesso immediatamente le sue colpe».

La violenza sessuale. Per il primo punto, l'appello ha confermato che il reato da contestare è quello di violenza sessuale. «È assolutamente evidente come l'imputato - si legge nelle motivazioni - intendesse aveva un rapporto sessuale con la donna» e la dimostrazione sarebbe nelle posizione in cui Agitu è stata trovata a e dal fatto che il pastore ghanese aveva avuto un orgasmo. «E che avesse desistito perché la donna aveva le mestruazioni (...) non vi è dubbio che nel momento in cui l'imputato ha spogliato la donna, la stessa fosse viva (...) Egli non ha inteso disprezzare o vilipendere il cadavere di Ideo Gudeta Agitu, egli non ha inteso offenderla quando era già morta, egli intendeva porre in essere atti di violenza sessuale dei suoi confronti quando era ancora viva».

E ancora «l'imputato ha commesso una violenza sessuale di eccezionale gravità denudando una donna dopo averla brutalmente colpita con una mazzuola, e approfittando del suo stato di inferiorità psico-fisica allorquando ella era ancora agonizzante. La condotta è stata posta in essere con straordinaria pervicacia: dopo aver desistito dal coltivare un rapporto sessuale, l'uomo davanti alla donna morente si è masturbato». E quindi si affronta il tema della percezione o meno di quanto stava succedendo da parte della vittima, di Agitu: «non rileva che la donna, per le sue condizioni non fosse in grado di percepire quanto stesse accadendo; la condotta dell'imputato non può, per tale circostanza, ritenersi certamente attenuata».

Soldi e famiglia. Per quanto riguarda le attenuanti generiche, per i giudici d'appello non devono essere concesse anche perché «non assumono alcuna pregnanza le asserite difficoltà familiari ed economiche in cui versava l'imputato. Il fatto che si fosse determinato a trasferirsi da solo in Italia per poter svolgere un'attività lavorativa, lasciando la propria famiglia in Ghana, in precarie condizioni economiche e sociali e non ricevesse puntualmente il corrispettivo per il lavoro svolto e fosse impossibilitato ad aiutare i familiari, non riveste alcun rilievo. Tali condizioni non si rilevano suscettibili di attenuare l'eccezionale gravità dei fatti commessi: sono stati posti in essere con modalità agghiaccianti».

Confessione inevitabile. Generiche che, secondo i giudici d'appello, non possono essere riconosciute nemmeno per il comportamento di Adams. Ossia la collaborazione immediata davanti ai carabinieri e la confessione di quanto fatto. «L'asserito atteggiamento collaborativo - è stato scritto nelle motivazioni - non è sintomatico di alcun serio e sincero ravvedimento; la confessione non spontanea è stata inevitabilmente imposta dall'evidenza dei fatti e non ha portato alcun contributo utile all'accertamento della verità. La sua responsabilità per i fatti commessi emergeva in modo solare in virtù dello stato dei luoghi che, nell'immediatezza egli non avrebbe potuto facilmente alterare».

Femminicidio. Agitu - che in Trentino ma anche in Italia era diventata simbolo di integrazione e della vita nelle terre alte - era stata trovata morta la sera del 29 dicembre del 2020 nella sua casa di Frassilongo. Avrebbe compiuto 43 anni pochi giorni dopo. Le parti civili«Come difensori di parte civile siamo soddisfatti della sentenza che riconosce senza se e senza ma la tesi del femminicidio e la ripugnanza del comportamento tenuto dall'imputato, anche se nessuno potrà restituire Agitu ai suoi cari» è il commento degli avvocati della famiglia Gudeta, Elena Biaggioni, Andrea de Bertolini e Giovanni Guarini. 

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