Trento / Giustizia

Donna maltrattata per mesi in Trentino: marito e suoceri condannati

L'appello conferma la condanna in primo grado di otto anni per il marito e quattro per i suoceri, non accolta la richiesta della procura di rubricare il caso a riduzione in schiavitù. Tutti i protagonisti della drammatica vicenda sono cittadini pachistani

TRENTO. La condanna in primo grado era stata ad otto anni per il marito e a 4 per i suoceri. Accusati di aver per mesi maltrattato la moglie e nuora. Ma per la procura si era davanti ad un caso di riduzione in schiavitù e per questo era stato presentato appello, chiedendo una condanna più pesante.

Richiesta che non è stata accolta dalla corte d'assise d'appello che al termine della camera di consiglio ha confermato quanto era stato deciso in primo grado. Sul banco degli imputati e un pachistano trentenne che in Trentino aveva trovato lavoro come lavapiatti. E accanto a lui i genitori.

Dall'altra parte, la vittima che si era costituita parte civile con l'avvocato Sattin. La giovane, 27enne all'epoca dei fatti, era arrivata in Trentino nel 2018 per ricongiungersi con il marito, sposato due anni prima in Pakistan.

Un matrimonio combinato: i due erano cugini anche se - aveva spiegato l'avvocato del trentenne, Roberto Zoller durante il primo processo - «entrambi i futuri coniugi all'epoca avevano manifestato la loro volontà di sposarsi, dopo essere cresciuti assieme fin dall'infanzia».

Una volta in Italia la ventisettenne era presto rimasta incinta. La situazione in cui era costretta a vivere era emersa nel maggio del 2019 quando, al termine di un litigio, la donna aveva deciso di andarsene. Aveva così raggiunto la stazione di Trento ma qui aveva avuto luogo un nuovo diverbio, acceso, con il coniuge, tanto che la bimba, che la madre teneva in braccio, era finita a terra.

Mamma e bimba erano state trasferite in ospedale in ambulanza e a quel punto la donna aveva deciso di denunciare il marito e la sua famiglia. Un racconto quello che aveva fatto alle forze dell'ordine che era tristemente ricco di episodi di violenze psicologiche e anche sessuali. Un incubo quello raccontato dalla donna: sarebbe stata costretta a vivere a casa di genitori di lui, con la suocera che le avrebbe dato continuamente ordini e l'avrebbe vessata.

La donna aveva poi raccontato che non le sarebbe stata data la possibilita di uscire di casa, e di avere a disposizione acqua razionata, di dover chiedere il permesso per andare in bagno e di non ricevere regolarmente cibo. Anche durante gravidanza e dopo la nascita della bambina. Ma la donna aveva denunciato anche di avere subito abusi sessuali.

Durante le indagini il marito si era difeso negando ogni addebito e parlando di una scarsa lucidità della moglie, venendo però smentito da esami e accertamenti che erano stati portati a termine proprio per non avere dubbi sulla veridicità del racconto della donna. In primo grado, come detto la condanna era stata a otto anni per il marito e a quattro per i genitori di lui ma non era stata riconosciuta la riduzione in schiavitù ma il reato di maltrattamenti.

E anche i giudici togati e popolari della corte d'assise d'appello hanno deciso ugualmente. Quindi conferma della sentenza per il reato di maltrattamenti. Aggravati ma maltrattamenti. I tre sono attualmente liberi con divieto di avvicinamento alla parte civile.

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