Ricerca / Alimentazione

La sfida della “carne coltivata”: «È un prodotto sostenibile ed etico»

Il professor Biressi, docente di biologia molecolare, fa il punto sulla ricerca condotta al Cibio di Trento per la start-up Bruno Cell

di Domenico Sartori

TRENTO. Il presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, firma la petizione contro il cibo sintetico. La Fondazione Hit - Hub innovazione trentino, finanziata dalla Provincia, ha nel frattempo agevolato l’insediamento a Povo, nei laboratori del Cibio, della start-up Bruno Cell. Che ha un obiettivo: trovare le migliori tecnologie per la produzione di carne coltivata.

Per arrivare al brevetto e allo sviluppo industriale di un prodotto che sappia poi conquistarsi, con un prezzo competitivo, il mercato. Bruno Cell srl, microimpresa con sede a Trento, è una start-up, con un unico socio investitore, Stefano Lattanzi, romano, che crede negli sviluppi della ricerca. Nella relazione al bilancio 2021, Lattanzi spiega: «Bruno Cell è la prima start up italiana focalizzata sulla carne colturale. L’obiettivo della società è fare in modo che la cultured mead divenga una risorsa economicamente sostenibile, tagliando gli altri costi della proliferazione cellulare».

Il progetto di ricerca vede il coinvolgimento a tempo pieno di una ricercatrice toscana, Giulia Fioravanti, nell’ambito di un programma di dottorato in innovazione industriale. Supervisori sono i docenti Luciano Conti e Stefano Augusto Maria Biressi. Biressi, che insegna biologia molecolare, ha lavorato a lungo all’Università di Stanford, in California. Poi, è arrivato all’Università di Trento, al Cibio, grazie al progetto di rientro dei cervelli in fuga finanziato da Telethon e dalla Provincia. Biressi ha già avuto modo di spiegare all’Adige il senso della ricerca sviluppata a Povo e, contemporaneamente, in molti altri centri nel mondo. Non solo business dalla produzione di carne in laboratorio. Anche vantaggi globali: maggiore sostenibilità ambientale, stop agli allevamenti intensivi ed eliminazione di uso antibiotici e farmaci. Ora, di fronte alla campagna “contro”, il docente ribadisce l’opportunità di considerare, accanto agli aspetti critici, anche quelli positivi della carne coltivata.

Professor Biressi, a che punto è il progetto di ricerca del Cibio?

«Stiamo proseguendo con le ricerche finalizzate alla definizione di linee cellulari da utilizzare nel processo produttivo. Siamo al termine dei primi due anni di lavoro. Per chiudere il progetto, ne serve un terzo. Poi, si valuterà come proseguire».

State lavorando con le cellule staminali ottenute dal sangue animale con un semplice prelievo?

«Non solo. Ci sono anche le biopsie ricavate dalla pelle o dai muscoli. L’approccio è non essere crudeli, l’attenzione al benessere animale. È un punto cruciale della nostra ricerca».

Vi sono ricerche, come quelle delle Università di Oxford e Amsterdam, secondo cui, rispetto agli allevamenti tradizionali, ci sarebbe consumo di acqua ridotto del 99%, del suolo del 96%, oltre a una riduzione di gas serra e dei consumi energetici. È così?

«Sì, il bene del pianeta è un altro obiettivo che il nostro approccio può stimolare. La nostra è una carne sostenibile. La minore produzione di metano è evidente».

Dove si mangia, oggi, la carne coltivata?

«È venduta in due ristoranti, a Singapore e in Israele. Si tratta, non a caso, di nuggets, polpette di pollo».

Perché “non a caso”?

«È complicato produrre qualcosa di più strutturato, come una bistecca. Più facile partire con le polpette, è il primo passaggio. Per ragioni tecnologiche e di costo, che vanno di pari passo, il prodotto carne sostenibile non è ancora maturo».

Il presidente della Provincia ha firmato la petizione contro il “cibo sintetico”...

«Lo so da lei. Provo un po’ di tristezza. Qualsiasi idea va rispettata. Sottolineo: qui c’è una finalità etica. Abbiamo superato gli otto miliardi di abitanti e gli aspetti ecologici del pianeta sono davvero critici. Rispettabile valore proteggere i mercati locali. Ma dobbiamo considerare la dimensione globale del problema ecologico. Io, per altro, non vedo un’antitesi tra allevamenti locali e produzione di carne coltivata. Noi, qui, possiamo entrare in supermercato e trovare carne trentina. Per chi vive in Africa o in India la situazione è ben diversa. Sono tanti gli aspetti da considerare: scientifici, politici, etici e sociali. La politica può intervenire in modo positivo se ha l’obiettivo di fare il bene a lungo termine».

comments powered by Disqus