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Stefani Scherer: «I "nostri" laureati vengono pagati di più fuori dal Trentino»

L'analisi della prof di Sociologia: «È tempo per il salario minimo. All’estero, a parità di posizione, le paghe sono più elevate. A livello nazionale altrove esiste un tessuto economico con imprese che possono più facilmente assorbire lavoratori qualificati e retribuirli meglio»

di Matteo Lunelli

TRENTO. I giovani laureati trentini, se escono dalla nostra provincia per lavorare, guadagneranno di più. È uno dei dati, piuttosto clamorosi, che escono dagli studi di Almalaurea. A spiegare è la professoressa del Dipartimento di Sociologia Stefani Scherer.

«La ricerca dice che i laureati all’Università di Trento, che sono ovviamente solo una parte della popolazione, riescono facilmente a trovare lavoro e che, se lo trovano fuori dai confini provinciali, guadagnano di più. Indicativamente cento euro in più al mese. Questo è dovuto in parte al fatto che all’estero, a parità di posizione, le paghe sono più elevate. Ragionando invece a livello nazionale, e non considerando solo le grandi città come Milano o Roma come destinazione lavorativa, evidentemente esiste un tessuto economico con imprese che possono più facilmente assorbire lavoratori qualificati e pagarli di più».

Un altro aspetto è legato alla formazione: UniTn immette nel mondo del lavoro ragazzi preparati.

Indubbiamente: i dati dicono che a Trento gli studenti vengono formati bene e hanno strumenti e competenze spendibili ovunque.

Il tema diventa quindi il tipo di domanda di lavoro che c’è nella nostra provincia.

Penso infatti al turismo: settore importantissimo, intendiamoci, ma al suo interno fare una carriera economica non è certo immediato. Dobbiamo chiederci che lavoro fanno gli occupati in Trentino tra i 25 e i 30 anni e direi che circa un venti per cento fa professioni di bassa qualifica.

Di grande attualità è la caccia ai professionisti in sanità: perché pochi giovani vogliono fare, ad esempio, gli infermieri? Eppure troverebbero lavoro subito, anzi sarebbero tirati per la giacchetta o meglio per il camice.

Analizziamo: le condizioni di lavoro non sono il top. Si lavora su turni, facendo anche le notti, e questo non è d’aiuto. Poi si entra in un ambiente dove il personale è poco, e anche questo non aiuto. Infine l’aspetto economico, visto che la paga non è certamente adeguata all’impegno personale che viene richiesto. Infine c’è un terzo aspetto, importante.

Ovvero?

La considerazione sociale.

Che per qualche mese, a marzo 2020, c’è stata.

Sì, è vero. Ma poi? L’impegno e il lavoro straordinario che veniva fatto durante l’ondata pandemica, ma che poi prosegue ogni giorno, sono stati subito dimenticati.

Cosa si potrebbe fare, quindi?

La paga è una parte importante, ma è anche quella relativamente più facile da affrontare. Bisognerebbe prima di tutto rilanciare l’immagine del personale sanitario al fine di aumentare la considerazione sociale.

Abbiamo toccato ma non approfondito il tema del salario.

Che è decisamente importante. Fa fatta una premessa: la transizione dalla scuola al lavoro è legata al fatto di “uscire di casa”. E lo si fa quando il salario garantisce un’indipendenza economica. A quel punto subentrano altri aspetti, tra i quali - ad esempio - il fare o non fare dei figli. Tradizionalmente in Italia e quindi anche in Trentino perché il Trentino ne fa parte, non è la Svezia, questa transizione è sempre stata molto lenta.

Perché?

Per una connessione non certo ideale con il sistema lavoro, anche se il Trentino è messo meglio rispetto alla media italiana, soprattutto grazie alla spinta delle scuole professionali. La risposta dell’Europa a questi temi è stata la deregolamentazione: dagli anni Novanta la disoccupazione si è ridotta grazie ai lavori a tempo determinato. Che non sono un problema in assoluto, ma rischiano di diventare una trappola, che crea instabilità oltre a salari più bassi.

E i giovani ci sono “rimasti sotto”.

Esatto, le coorti più giovani poi faticano a transitare ai settori primari. E questo ha conseguenze in altri ambiti e penso soprattutto alla famiglia, e lo si “paga” anche nella seconda fase della vita, visto che le carriere instabili e precarie portano a meno benessere fisico e mentale, con conseguenze demografiche, sanitarie e di diritto, con le pensioni più difficili da ottenere e più basse.

La deregolamentazione del mercato del lavoro va verso il tramonto?

In alcuni Paesi sì, ad esempio la Spagna dove da qualche mese è iniziato un processo di re-regolamentazione. Anche il “Jobs Act” andava in questa direzione.

Per chi non riesce a entrare nel mondo del lavoro esistono gli aiuti.

Per me, che sono tedesca, i redditi di garanzia come quello del Trentino sono normali strumenti dello stato sociale, ma sono pensati su target specifici e riguardano persone in condizioni particolari. In tal senso va sottolineato che l’Italia è uno dei pochi Paesi che non ha il salario minimo: l’esperienza tedesca è interessante e, anche se non interamente trasferibile, può essere fonte di apprendimento.

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