Sanità / Il caso

Trento, protonterapia perde tre pilastri: Amichetti in pensione, Vennarini a Milano e Schwarz a Seattle

Il centro di cure oncologiche avanzate corre ai ripari, emntre si attendono nuovi passi ufficiali dal governo per poter estendere la platea dei pazienti che possono accedere: il 2021 si chiuderà con 300 malati trattati, molti in età pediatrica, e una buona parte arriva dall'estero

di Patrizia Todesco

TRENTO. La Protonterapia perde dei pezzi da novanta.

Ad inizio settembre è andato in pensione il primario Maurizio Amichetti che ha guidato questa struttura fin dall'inizio, quando il progetto di creare un centro che curasse i tumori con i protoni era ancora sulla carta e le idee del fisico Renzo Leonardi apparivano ai più pionieristiche.

Venerdì è stato l'ultimo giorno di lavoro di Sabina Vennarini, radiologa e radioterapista oncologica, altro punto di riferimento insieme alla dottoressa Barbara Rombi del centro di via al Desert.

Sarà referente per le cure pediatriche dell'istituto Nazionale dei tumori di Milano, uno dei riferimenti più importanti in Italia.

Infine in partenza anche il fisico Marco Schwarz, direttore della struttura semplice di Fisica in protonterapia dal 2016 ma in protonterapia fin dal 2005 quando venne assunto per la gestione degli aspetti tecnici della gara per l'acquisto dell'impianto. È stato chiamato dall'università di Seattle, negli Stati Uniti.

«Dispiace perdere professionisti di questo calibro - dice il direttore sanitario Giuliano Brunori - ma per noi è anche motivo di grande soddisfazione che realtà così importanti come l'istituto nazionale Tumori o l'università di Seattle vengano a pescare dalla Protonterapia professionisti che si sono formati qui da noi».

Brunori spiega come l'Azienda abbia cercato di rimediare a queste partenze.

«Per quanto riguarda Amichetti il suo lavoro è portato avanti dal facente funzioni, l'oncologo Marco Cianchetti che ha lavorato per anni insieme a lui. Il concorso non è stato ancora indetto in quanto si attende di capire quali saranno i rapporti con l'Università. Per la dottoressa Vennarini è stata chiamata la terza classificata di un precedente concorso. Una professionista che lavorava a Roma e che la prossima settimana prenderà servizio a Trento.

Infine il fisico Schwarz, che sarà in servizio al Centro di Protonterapia ancora fino a gennaio. Ci sono buone professionalità sia interne che esterne interessate alla sua posizione. Vedremo nelle prossime settimane».

In una situazione di numeri che ancora stentano a decollare sicuramente la partenza di queste professionalità non aiuta.

«Per la protonterapia l'obiettivo iniziale era di fare 700 pazienti all'anno. Ora l'obiettivo si è abbassato a 400-450. In questi anni abbiamo viaggiato sui 300, con una punta nel 2019 quando a Trento erano stati trattati 348 pazienti, mentre nel 2021 i pazienti sono stati poco meno di 300. La cosa positiva è che durante il Covid il centro ha continuato a lavorare senza diminuire drasticamente le prestazioni», puntualizza Brunori. Nel 2020, infatti, i pazienti sono stati circa 300, di cui un terzo in età pediatrica e 25 pazienti provenienti dall'estero, da Austria, Spagna, Grecia, ma anche da Cile, Macedonia, Romania.

Rimane il fatto che dopo anni in cui si dibatte, ancora le prestazioni di Protonterapia non sono inserite nei Lea e quindi l'arrivo dei pazienti da altre provincia rimane, dal punto di vista burocratico, ancora un qualcosa di poco automatico e fluido.

«Ci sono invece buoni rapporti con l'estero, come le convenzioni con alcune realtà degli Emirati Arabi e di Dubai».

A livello nazionale, infatti, la Protonterapia, ancorché riconosciuta nei livelli essenziali di assistenza con il Dpcm (Decreto del presidente del consiglio dei ministri) del 12 gennaio 2017 non è direttamente accessibile dai pazienti da fuori del Trentino, in quanto non è ancora stato emanato il decreto ministeriale di approvazione delle tariffe di assistenza specialistica.

Per anni i vari direttori sanitari e assessori alla salute hanno trattato con Roma senza però arrivare a risultati concreti.

Per questo sono necessari accordi con le singole regioni, come recentemente è avvenuto con l'Emilia Romagna.

Il dottor Maurizio Amichetti si dichiara comunque soddisfatto della situazione che ha lasciato. «Dal punto di vista clinico e della produzione scientifica il livello raggiunto è ottimo. Ora ci vorrebbe un maggior impegno dal punto di vista tecnico e della ricerca.

Non è solo il numero dei pazienti che rende un centro attrattivo - specifica l'oncologo - ma anche la ricerca e i rapporti con istituti nazionali e internazionali.

Questo è un settore nel quale non ci si può fermare perché l'evoluzione è continua. Ma ripeto, io sono soddisfatto, Provincia e Azienda non lo so perché non c'è stata mai molta chiarezza su questo.

Il problema è che a ogni cambio di direzione e di guida provinciale abbiamo tentato di spiegare finalità e obiettivi del Centro ma capisco che per chi è fuori è difficile. Forse il numero di pazienti non è stato quello che inizialmente era stato prefissato, ma quelli fatti sono stati curati e seguiti bene».

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