Giustizia / Il caso

Va troppo spesso in bagno: operaio licenziato, e il giudice dà ragione all’azienda

Il processo verteva sulle troppe assenze: 22-24 volte al giorno per fare i “bisogni”. Lui si era difeso: «ci vado tutte le volte che mi serve»,  ma non è bastato

di Sergio Damiani

TRENTO. Ha perso il lavoro perché andava troppo spesso al gabinetto. È successo ad un operaio di un'azienda metalmeccanica di Trento licenziato per giusta causa per le troppe visite in bagno: il tornitore si assentava dalla sua postazione per 22-24 volte al giorno. Insomma mezza giornata lavorativa se ne andava al gabinetto.

Non c'erano ragioni sanitarie che giustificassero questo via vai. L'azienda, difesa dall'avvocato Filippo Valcanover, prima di consegnare la lettera di licenziamento aveva chiesto al dipendente - assunto da una decina di anni - ragione del suo comportamento. «Vado tutte le volte che serve», è stata la sua risposta. Il licenziamento è stato poi confermato dal giudice Giorgio Flaim che ha respinto il ricorso presentato dall'operaio, difeso dall'avvocato Dario Rossi.

Sono stati gli ex colleghi di lavoro a segnalare all'azienda l'anomalo comportamento dell'operaio che con fastidiosa frequenza lasciava scoperta la sua postazione di lavoro. Nella lettera di contestazioni il datore di lavoro ha scritto: «Siamo davvero basiti nell'apprendere la frequenza con la quale lei si reca ai servizi. È stato verificato che lei entra ed esce dal bagno, dove permane per alcuni minuti ogni volta, circa ogni 20 minuti, arrivando ad entrare ed uscire per ben 22/24 volte al giorno. Comprenderà che una tale frequenza, in otto ore di lavoro, lascia ben poco spazio al tempo da dedicare all'attività lavorativa. Il monitoraggio disposto dall'azienda avrebbe confermato che la situazione andava avanti da tempo: da ottobre a fine dicembre del 2019.

Il datore di lavoro ha precisato che il diritto alle esigenze fisiologiche rimane inalienabile: «Tale diritto non è assolutamente regolamentato, in qualunque momento i lavoratori della nostra azienda possono recarsi in bagno se lo ritengono fisiologicamente necessario». Ma 22-24 accessi al giorno esulavano da una normale fruizione dei servizi.

«Tale comportamento - sottolineava il datore di lavoro - denota infatti un'assoluta mancanza di impegno da parte sua nello svolgimento delle attività a lei assegnate, che come già constatato e contestato, rimangono puntualmente incompiute determinando un grave danno all'azienda che di fatto continua a retribuirla regolarmente per otto di lavoro».

Il lavoratore licenziato ha fatto ricorso chiedendo che il licenziamento fosse dichiarato nullo in quanto avente "natura discriminatorio e ritorsiva" e per "difetto di giusta causa". Il giudice Flaim è arrivato però a conclusioni diverse: «Appare evidente - si legge nell'ordinanza - che le condotte di un lavoratore, il quale per oltre due mesi, nelle giornate in cui è presente al lavoro, si rechi, senza alcuna giustificazione, in bagno, ogni venti minuti, per circa 22-24 volte al giorno, integrano ampiamente una giusta causa di licenziamento: le conseguenze negative, agevolmente immaginabili, sull'utilità per il datore della prestazione eseguita dal lavoratore e la reiterazione plurima di tali atti pregiudicano, oggettivamente e soggettivamente, in modo irrimediabile la fiducia, circa la correttezza da parte del lavoratore nell'eseguire gli adempimenti futuri, che il datore deve nutrire quale elemento indispensabile affinché il rapporto di lavoro possa proseguire».

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