Provincia / Il caso

"Adesso via il vincolo dei dieci anni di residenza per accedere a case popolari e bonus maternità"

Cgil, Cisl, Uil e Acli del Trentino invitano la giunta Fugatti a rimuovere subito la previsione normativa già bocciata da una sentenza del Tribunale di Trento e dalla Corte europea

LA SENTENZA La giunta trentina bocciata: illegititmi i dieci ani di residenza

TRENTO. Assegnazioni di alloggi a canone sociale e contributi per la prima infanzia: i sindacati Cgil, Cisl, Uil e Acli rilanciano la richiesta affinché la Provincia autonoma di Trento proceda con la rimozione del vincolo dei dieci anni di residenza, tuttora in vigore malgrado una sentenza della Corte europea abbia sancito il diritto agli assegni nascita e maternità per i cittadini stranieri con permesso unico di lavoro.

Sulla questione è arrivata tre mesi fa anche una delle sentenza del Tribunale di Trento che stabilisce l'illeggittimità del provvedimento varato dalla giunta leghista.

"L’esecutivo - scrivono i sindacati, nell'attesa del parere della IV commissione consiliare proprio su questo punto - compia una scelta politica. Mancano gli ultimi tasselli per il via libera alla modifica del regolamento per l’accesso agli alloggi Itea, che rimuove il vincolo dei dieci anni di residenza in Italia per i cittadini stranieri.

Per Cgil Cisl Uil e Acli trentine “cade il primo pilastro del modello di welfare discriminatorio voluto da questa giunta".

I sindacati aggiungono: "Ci auguriamo che l’esecutivo prenda atto delle scelte assunte dalla giurisprudenza anche a livello europeo e assuma una decisione politica togliendo il vincolo dei dieci anni di residenza per accedere al bonus bebè. Quella misura resta un’ingiusta discriminazione”.

È delle scorse settimane infatti una significativa sentenza della Corte di giustizia europea che ha riconosciuto il diritto dei cittadini stranieri con permesso unico di lavoro all’assegno di maternità e all’assegno nascita. Per accedere a queste misure di sostegno non è necessario possedere il permesso di soggiorno di lungo periodo.

L’orientamento della giurisprudenza è chiaro – rimarcano i tre segretari provinciali Andrea Grosselli, Michele Bezzi e Walter Alotti e il presidente delle Acli Luca Oliver - così come è chiara la posizione assunta dal legislatore nazionale per l’assegno universale per le famiglie per ottenere il quale sono sufficienti due anni di residenza.

Anche diverse regioni, come Veneto e Friuli Venezia Giulia, hanno previsto requisiti minimi di residenza per accedere alle misure di sostegno al reddito.

Non sono i giudici interventisti.

Il presidente Fugatti ne prenda atto e faccia scelte politiche conseguenti”.

Intanto oggi si apre in IV Commissione il confronto sul disegno di legge Olivi che propone di rimuovere il requisito dei dieci anni per il bonus bebè.

“Crediamo che la proposta in discussione sia equilibrata e vada nella giusta direzione. Dobbiamo puntare ad un Trentino inclusivo, in cui chi ha bisogno non viene discriminato ingiustamente per il Paese di provenienza.

Per quanto ci riguarda continueremo a tenere alta l’attenzione su queste questioni sollecitando l’interesse dell’opinione pubblica trentina, ma anche sostenendo tutti quei cittadini e cittadine che volessero ricorrere al Giudice per vedere riconosciuto un loro diritto. Ci auguriamo però che sia la politica a farsi carico, prima, di questa responsabilità”, concludono Grosselli, Bezzi, Alotti e Oliver.

Nel giugno scorso, la Corte d'appello di Trento ha rigettato l'appello presentato dalla Provincia contro l'ordinanza del Tribunale di Trento che aveva accolto il ricorso promosso dall'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione e da un cittadino etiope per contestare il requisito di 10 anni di residenza in Italia, richiesto dalla legge provinciale n. 5 del 2019 per accedere sia agli alloggi pubblici sia a un contributo economico per il pagamento dei canoni.

"La sentenza della Corte d'appello - sottolinea l'Asgi - ha ribadito il carattere discriminatorio del requisito dei 10 anni di residenza sul territorio nazionale, in quanto in contrasto con la direttiva dell'Unione europea 109 del 2003 che garantisce parità di trattamento ai titolari di permesso di lungo periodo: parità che risulta invece violata da un requisito che va soprattutto a danno degli stranieri, che solo in una quota minoritaria possono far valere 10 anni di residenza in Italia".

"La Corte d'appello - aggiunge Asgi -ha specificato che tale requisito non si può applicare né ai cittadini extracomunitari lungo soggiornanti, né a quelli dell'Unione europea, né a quelli italiani. Inoltre, la Corte trentina ha smontato la tesi secondo la quale il requisito sarebbe legittimo perché previsto anche dalla disciplina italiana sul reddito di cittadinanza".

Il giudice di appello ha ritenuto superfluo anche il rinvio alla Corte costituzionale perché l'obbligo di garantire parità di trattamento discende direttamente dalle norme dell'Unione e prevale sulla legge provinciale. Ha quindi ordinato alla Provincia di Trento di "disapplicare" la legge provinciale e di modificare il regolamento attuativo eliminando il requisito dei 10 anni di residenza in Italia. La Corte d'appello ha anche confermato la decisione di primo grado nella parte in cui condanna la provincia a pagare 50 euro al giorno per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione della ordinanza, che decorre dal 29 novembre 2020.

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