Agricoltura / Il dibattito

Biologico, il referendum non basta. Micheletti: “Bisognava coinvolgere di più gli agricoltori”

Il presidente del Biodistretto di Trento condivide il merito ma non il metodo della consultazione del prossimo 26 settembre: “Si rischia di avere una scatola vuota”. Diego Collera (Confagricoltura): “Strumentalizzati i dati per dare un’immagine falsa dell’agricoltura trentina”

di Daniele Benfanti

TRENTO. Bene nel merito, molti dubbi sul metodo. Il presidente del Biodistretto di Trento, Giuliano Micheletti, ritiene quello del referendum per l'istituzione di un Biodistretto trentino (su tutto il territorio provinciale) che si terrà domenica 26 settembre, un tema sentito ma scivoloso. Scivoloso perché c'è chi, come Micheletti, pur condividendo l'idea del rafforzamento dell'agricoltura biologica, ha seri dubbi sul metodo con cui si è arrivati al referendum: «Pochi tra gli elettori sanno bene di cosa si tratta. Cosa significa biodistretto e quali sono le conseguenze sul territorio. Generalmente queste iniziative nascono dal basso. Qui, invece, si chiede alla politica di legiferare. C'era bisogno di maggiore coinvolgimento dei produttori, sono loro il fulcro di tutto».


Micheletti fa un esempio pratico, per chiarire il concetto: «Certo, se si chiede ai cittadini se vogliono meno tasse, risponderanno di sì. Ma bisogna capire quali sono le conseguenze, gli attori, l'incidenza delle scelte. Non si può ancora dire se il Trentino è davvero pronto: di solito i referendum prendono spunto da un cambiamento culturale già avvenuto nella società civile. Sì, è vero: come dicono i promotori, il referendum non impone un cambiamento dall'oggi al domani, ma uno zoccolo duro di produttori pronti deve esserci. Una legge in merito non è garanzia di successo. Con il Biodistretto di Trento siamo partiti nel 2017 con 13 fondatori e ora siamo circa 20. C'era da spianare alcune inevitabili diffidenze. Oggi, grazie alla presenza di importanti società cooperative e private dell'agricoltura nel Biodistretto, il 50% del territorio comunale del capoluogo è biologico. In questi tre anni abbiamo imparato che alla politica non basta chiedere. Ma si deve dimostrare. Con la collaborazione degli enti scientifici e culturali. Allora il bio è un plus per l'intera comunità».

Biodiversità e lavoro etico in campagna sono elementi comuni a chi ha fondato il Biodistretto di Trento e i promotori del referendum del 26 settembre per il Biodistretto trentino. Oggi sono quattro i biodistretti già attivi in provincia: Trento, Valle dei Laghi, Val di Gresta e il neonato Valle del Vanoi, promosso dal comune di Canal San Bovo. Il referendum che chiede l'istituzione del Biodistretto trentino, va chiarito, non prevede la soppressione dei biodistretti esistenti.«La nostra preoccupazione - prosegue Micheletti - è che senza un coinvolgimento pieno e totale dei produttori, il Biodistretto promosso dal referendum rimanga una scatola vuota. Non siamo troppo ottimisti, perché non viene definito un piano B.

Porre un Cda di una cantina vinicola di fronte all'aut aut tra Sì e No al referendum non è semplice, può aprire delle crepe. Per noi il biodistretto deve avere un ruolo di mediazione, tra agricoltori e consumatori, tra città e campagna, tra ricerca e applicazione concreta. Abbiamo in campo monitoraggi con il Muse, ricerche con la Fondazione Museo storico, premi con l'Università».

Il Biodistretto di Trento vede all'orizzonte due difficoltà da superare: l'invecchiamento della popolazione di agricoltori e la difficoltà a reperire manodopera. «Per questo - sottolinea Micheletti - è bellissima l'idea dei promotori del referendum di ampliare le superfici orticole biologiche, ma molto impegnativa».

Se dal Biodistretto di Trento non mancano le perplessità, molto critica nei confronti del referendum del mese prossimo è Confagricoltura, per voce del suo presidente, Diego Coller: «Dispiace - scrive in una nota - che ancora una volta vengano strumentalizzati i dati per dare un'immagine non reale dell'agricoltura trentina».

Coller non manca di precisare, rispetto alle dichiarazioni di Fabio Giuliani, del Comitato promotore del referendum, ieri su l'Adige, che quasi tutta l'agricoltura integrata trentina è certificata, con sistema Sqnpi per la vite e Global gap per il melo. Coller rivendica un percorso già intrapreso dai produttori trentini in fatto di formazione, sostenibilità e qualità: «Purtroppo - prosegue - i consumi di prodotti da agricoltura biologica negli ultimi anni sono stati inferiori alla produzione e questo ha fatto crollare i prezzi, rendendo impossibile coprire i maggiori costi di produzione. I consumatori hanno un enorme potere per indirizzare i produttori». Insomma, se in quasi 14 mila hanno firmato per indire il referendum, i consumatori abituali di prodotti da agricoltura bio in Trentino sarebbero in numero inferiore ai sottoscrittori: «Evidentemente si vuole imporre un metodo di coltivazione ma non si è disposti a pagarne il costo».

Coller contesta anche il paragone fra Trentino e altre regioni, che vede in coda la nostra provincia in fatto di superfici biologiche: «Bisogna tener conto più delle produzioni che delle superfici. In certe regioni sono certificate grandi superfici di pascoli o prati, per una questione legata a incentivi più che alla reale produzione di derrate certificate».

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