Esposti per i morti nelle RSA Francesca Parolari (Upipa): «Contro di noi parole inaccettabili»

di Marica Viganò

I racconti degli operatori delle case di riposo sono drammatici. «Ci hanno lasciato in balìa di noi stessi». «Ci hanno mandato in guerra senza fucile». «Ci dicevano di non mettere le mascherine per non allarmare gli ospiti». E poi c’è il dolore lacerante dei familiari che dal 4 marzo, dalla chiusura delle Rsa per l’emergenza, non hanno più visto i loro cari: figli e nipoti che non hanno potuto dare l’ultimo saluto ai genitori e ai nonni, spesso - per la quarantena - neppure accompagnarli al camposanto. 

Ora arrivano gli esposti, con il Codacons in prima linea che solleva il dubbio di «negligenze nella gestione della pandemia» anche nelle case di riposo.

Francesca Parolari, presidente di Upipa, all’azione del Codacons si aggiungono ora alcuni esposti di parenti degli ospiti.

Come sta vivendo questo momento? Gli accertamenti della procura possono essere l’occasione per chiarire il vostro operato...

Quando qualcuno sostiene, come Codacons, che abbiamo operato in maniera dolosa e viene chiesto il sequestro delle strutture, è normale essere preoccupati. Ma ci difenderemo in tutte le sedi. Non abbiamo mai agito in maniera dolosa e valuteremo anche di rispondere a queste accuse ingiuste ed inaccettabili, oltre che difenderci sui contenuti degli esposti. Dolo significa volontà di fare del male e sicuramente questa non c’è. Chi ci accusa dovrà renderne conto.

Come si sente, in coscienza, di rispondere a queste accuse?

Abbiamo cercato sempre di fare il meglio e, se ci saranno procedimenti penali, li affronteremo consapevoli di come abbiamo agito. Ma non saremo noi quelli che pagano per tutti.

Sull’Adige di ieri abbiamo riportato le voci degli operatori che raccontano di situazioni al limite nelle Rsa.

Queste posizioni nel merito non le condivido, ma comprendo lo stato d’animo in cui si trovano a lavorare gli operatori. Considero quelle parole come sfoghi legittimi dopo un periodo di stress, pur ribadendo che un operatore non avendo tutti gli strumenti per poter fare le valutazioni non può sostenere che gli altri si sono comportati in maniera sbagliata. Ognuno ha il proprio ruolo, le proprie responsabilità. Se sono state fatte delle scelte è perché ci sono delle ragioni. Comprendo lo sfogo e capisco che le prime linee sono quelle che stanno soffrendo maggiormente questa situazione, ma è facile dire quello che avrebbero dovuto fare gli altri. Bisogna invece comprendere in quali condizioni chi ha governato queste strutture si è trovato ad operare.

Gli operatori di diverse strutture raccontano che era stato loro vietato di indossare la mascherina perché non necessaria. Anche questo caso rientra nelle scelte fatte per ragioni di cui gli operatori non sono al corrente?

Sull’utilizzo delle mascherine io stessa ho firmato una comunicazione invitando ad usarle secondo le indicazioni in quel momento indicate dal Ministero della salute e che seguivano indicazioni dell’Oms: si consigliava di indossarle solo se si andava vicino all’utente e ad una distanza inferiore a due metri e mezzo, mentre gli operatori le avrebbero volute sempre. In quel momento era stata data questa indicazione innanzitutto perché era ufficiale, e poi perché c’era una scarsità assoluta di mascherine.

L’altra accusa riguarda il mancato trasferimento degli ospiti con Covid negli ospedale: c’è chi interpreta questa decisione con la volontà di lasciare le rianimazioni libere per i malati più giovani.

L’ospedalizzazione è competenza del medico della struttura. Vorrei ricordare che ci sono stati casi di contagio da parte di ospiti di rientro, provenienti dall’ospedale. Come a Canal San Bovo: il primo caso di coronavirus nella Rsa è relativo ad un ospite dimesso dall’ospedale di Feltre. Ci sono inoltre ospiti con molte fragilità che non sopporterebbero l’intubazione. Queste scelte, ribadisco, spettano al medico e non all’operatore. Del resto neppure un anziano che vive in casa viene ospedalizzato se ha febbre a 37,5.

Eppure l’indicazione dell’Azienda sanitaria di sospendere i ricoveri degli ospiti di Rsa in ospedale sembrerebbe sottintendere la scelta su chi curare e chi no...

La lettera del dottor Nava («Le Rsa non devono operare alcun trasferimento verso gli ospedali», ndr) va contestualizzata al momento in cui è stata scritta, quando c’era una forte pressione sulle terapie intensive. Ma non credo francamente che si sia mai arrivati ad una scelta di questo tipo, anche perché le Rsa sono in grado comunque di supportare i pazienti con la ventilazione, che per un anziano è adeguata come cura. Purtroppo abbiamo avuto tanti casi di anziani che si sono spenti nelle nostre strutture non in situazioni di gravità assoluta, si sono spenti da un momento all’altro: stavano bene e qualche minuto dopo non c’erano più. L’impatto con il Covid è stato a volte improvviso. Dall’altra parte, non mi risulta che le terapie intensive abbiano lavorato a pieno regime. Non credo che ci sia stata la necessità di scegliere che pazienti accogliere, di escludere gli anziani.

Come è la situazione nella Rsa di Volano?

Abbiamo 16 ospiti, ovvero il nucleo di Nomi più una persona inserita da un’altra struttura. In questi giorni stiamo valutando con la Provincia l’evolversi della situazione. La struttura avrebbe la destinazione iniziale di supporto a strutture ancora indenni, ma ci sono potenzialità e posti per poter pensare di supportare strutture già contagiate ed aiutarle a tornare ad una situazione di normalità, accogliendo per un periodo gli ospiti. E poi c’è una funzione di filtro: si parla di Ala, per i 15-20 giorni di isolamento prima dell’ingresso in Rsa. La Provincia sta valutando anche la struttura di Dro.

È quindi possibile riaprire presto le graduatorie per l’inserimento nelle Rsa di nuovi ospiti?

Appena abbiamo la disponibilità di strutture intermedie, di strutture filtro, si può iniziare l’inserimento. È prevista la quarantena per tutti i nuovi ingressi, ossia un periodo di 15-20 giorni. L’isolamento iniziale sarà una condizione imprescindibile finché non avremo una soluzione al virus. C’è poi il discorso dei parenti: non possiamo tenere le famiglie lontane dai propri cari per molto altro tempo. Teniamo presente però che, nel momento in cui si allentano le maglie della quarantena per tutta la popolazione, c’è il rischio che il contagio aumenti. Stiamo ragionando ad una soluzione organizzativa e sostenibile dal punto di vista epidemiologico, una soluzione che non crei rischi. Forse entro maggio, confrontandosi con Azienda sanitaria e Dipartimento della salute, riusciremo a trovare una risposta.

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