Gioco d'azzardo: a Trento bruciati 214 milioni in un anno «Dopo il terremoto a l'Aquila gioco liberalizzato per far cassa»

di Jacopo Strapparava

Quante persone si sono suicidate in Trentino per via del gioco d’azzardo? Alla domanda, la signora Vanzetta esita un po’. «Questo non lo posso dire» replica titubante. Ma è indubbio: anche da noi ce ne sono stati.
Di chi chiede aiuto, invece, si può parlare. «Solo in Trentino abbiamo avuto 340 giocatori che ci hanno contatto direttamente; e 355 casi in cui è stato un familiare a rivolgersi a noi: la moglie, il figlio, il padre…» concede Miriam Vanzetta, la cui associazione, la Auto-Mutuo-Aiuto, dalla fine degli anni Novanta si occupa dei casi più disperati. Ma poiché non sempre il gioco diventa patologico, basta guardare i dati dell’Agenzia Dogane Monopoli, per avere un’idea della portata generale del fenomeno: solo nel Comune di Trento, solo nel 2017, l’ammontare totale delle giocate è stato di 214 milioni.
Emerge un quadro fosco, dalla conferenza sulla ludopatia tenutasi ieri nelle sale della Fondazione Demarchi, a Trento. A parlarne, oltre alla signora Vanzetta, ci sono Matteo Iori, presidente del Comitato Gruppi per Giocatori d’Azzardo e collaboratore del Ministero della Salute, e don Armando Zappolini, battagliero sacerdote toscano, presidente del «Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza» (e che non nasconde la sua anima di «prete sociale»).

«La ludopatia è una dipendenza subdola – incomincia la Vanzetta - si cerca di fare di tutto per recuperare le perdite. E anche se smetti di giocare, il buco rimane. C’è chi arriva ad avere centinaia di migliaia di euro di debiti, chi perde il lavoro e la famiglia».
Segnala poi un’esplosione, dei casi patologici. «Fino al 2012, avevamo circa un caso all’anno: il gioco era vietato dappertutto, a parte qualche schedina. Chi veniva da noi andava a scommettere a Venezia o in Austria» Tutto è cambiato dopo il 2009. «Con il terremoto dell’Aquila, per fare cassa, il gioco è stato liberalizzato». E da lì, è stato tutto un fiorire di betting exchange, win for life, scommesse sportive a quota fissa, scommesse ippiche, slot-machines, eurojackpot e poker-online. In Trentino «siamo passati da una media di un caso all’anno a una media di 70 casi all’anno». Ma, sottolinea la donna, oltre alla «pesantezza dei numeri», a colpire è «la tragicità delle storie». E fa specie il fatto che «Cambia la geografia dei quartieri», perché spesso molte botteghe chiudono per far posto a sale gioco o bar con macchinette mangia-soldi.
Matteo Iori, invece, parla dell’aspetto economico «Dell’ammontare delle giocate, considerando tutti i giochi, l’80 % va a formare le vincite dei pochi fortunati, il 10% va allo Stato e il 10% alla “filiera dell’azzardo”», che può voler dire Lottomatica, la grande concessionaria multinazionale o il baretto sotto casa.

È il turno di don Zappolini, che non lesina parole e parla della sua campagna, «Mettiamoci in gioco», sostenuta da circa 34 associazioni tra cui Arci, Acli, Libera sono le più note. «Vogliamo sensibilizzare la popolazione» – dice. E al tempo stesso, «agire dal punto di vista politico: Non siamo contro il proibizionismo, ma per la regolamentazione». Quando è partita la campagna, nel 2012, «era una giungla: i parlamentari non avevano accesso ai dati, le pubblicità dei giochi erano senza limiti e gli uffici dell’Osservatorio sulla Ludopatia erano nella sede dei Monopoli». Poi, anche grazie alla campagna, buona parte della politica, «dal Pd ai Cinque Stelle» si è attivata att, arrivando, per esempio, a limitazioni per la pubblicità. Un buon segnale, dice, e mischiando l’inflessione pisana misto con qualche reminescenza biblica, aggiunge «Ne parte tanti di ‘sti piccioni viaggiatori, ma molti poi si perdono quando attraversano il deserto».
Pertanto, sicuro di sé, conclude: «Non bisogna mollare. Ogni lentezza è colpevole». È stato molto chiaro, gli fanno presente. Lui scherza: «E non ho detto parolacce. Per un toscano è un buon risultato».

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