Tragedia sulle Alpi, parla il sopravvissuto

"Sto bene. Mi hanno appena dimesso dall'ospedale": Tommaso Piccioli è uno dei partecipanti alla spedizione finita in tragedia sulle alpi svizzere nella haute Chamonix-Zermatt, dove sono morti italiani, inclusi i suoi tre amici di Bolzano. Dice solo questo all'ANSA, che lo ha contattato al telefono. Alla famiglia ha telefonato ieri."Mi ha detto 'sto bene' - racconta il papà Stefano, anche lui architetto -. Sono all'ospedale. E' successa una cosa gravissima e sono sopravvissuto grazie alla mia esperienza". La notte al gelo è stata lunghissima e completamente buia. Tommaso ha cercato di fare ginnastica e non addormentarsi.

"Lui - dice il papà - è rimasto sveglio tutta la notte. Non so come ha fatto. Spronava anche gli altri, a muoversi a non dormire ma nel buio non li vedeva. Non sapeva dov'erano". Quando ha albeggiato Tommaso e un'escursionista tedesca hanno visto dall'altro lato della vallata, dove c'è il rifugio, due sciatori e hanno iniziato ad urlare con quanta voce ancora avevano in gola "help".

Il commento di Messner

"Quanto ti trovi nel whiteout, una sorta di nebbia di neve e vento gelido fortissimo, non c'è colpa, perché non si vede più niente. Da quello che ho capito le condizioni erano queste e purtroppo è accaduta una tragedia". A dirlo, a proposito di quanto accaduto sulle Alpi ieri in Svizzera, è l'altoatesino Reinhold Messner. "In quelle condizioni - spiega - se metti una mano sul viso, la vedi, ma i piedi no. Basta essere a 100 metri da un rifugio ed è impossibile trovarlo". "È una condizione che io ho vissuto almeno cento volte - racconta Messner - ma il problema è che se ti trovi in Antartide è grave, però non hai dei crepacci, mentre in montagna sì. Col vento forte e il freddo, come ho capito che è successo in Svizzera, se non hai un'esperienza estrema perdi la testa. La bufera ti butta giù e la morte è la conseguenza. Pensiamo che i vestiti, le scarpe e i gps che ci sono adesso ci rendano sicuri, ma la montagna è sempre pericolosa".

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