Tumore al seno: 10 nuovi casi a settimana La sopravvivenza a 5 anni sfiora il 90%

di Patrizia Todesco

In media dieci nuovi casi a settimana, tra i 500 e 600 all’anno. A questi numeri vanno aggiunte le pazienti che sono ancora in cura o che devono effettuare controlli ravvicinati. Sono alcuni dati delle donne con tumore al seno interessate dalla nuova rete clinica senologica. Donne chiamate ad affrontare una prova difficile, ma che hanno un’alta probabilità di vincere la loro battaglia contro il cancro considerato che la sopravvivenza a cinque anni sfiora il 90%. Ecco perché importante, in questo campo, non è solo la cura, ma anche la qualità di vita di queste pazienti.

Martedì, per la prima volta, le diverse figure professionali coinvolte in questo nuovo modello organizzativo si sono riunite affinché questa «rete» coordinata dall’oncologa Antonella Ferro, diventi realtà.
L’obiettivo è una presa in carico globale delle donne, dal momento della diagnosi fino al termine delle cure che non finiscono con le dimissioni dall’ospedale dopo l’intervento. Inoltre la nuova rete prevede figure professionali che prima non erano inserite come il medico di medicina generale, il dietologo, lo psicologo o le associazioni di volontariato.

«A Trento l’idea di lavorare in équipe c’è da parecchi anni, già dal 1994. Inizialmente i vari professionisti si riunivano in una fase pre-operatoria e dal 2010 anche post operatoria, dopo l’esame istologico, in quello che viene chiamato consulto multidisciplinare. Ora l’idea è appunto quella di coinvolgere nuove figure professionali in un percorso che deve agevolare le donne», aggiunge la dottoressa Ferro, oncologa al S. Chiara dal 2000.

Tra le nuove figure quella dello psicologo, che in futuro dovrebbe diventare uno psico-oncologo, ma anche fisioterapisti dedicati e il medico di medicina generale che avrà un ruolo fondamentale dopo le dimissioni della paziente, ma anche durante tutto il percorso perché è importante che lo stesso sia in grado di sostenere, aiutare e informare la propria assistita durante tutto l’iter della malattia e della cura e ciò sarà possibile solo se verrà coinvolto nel processo di cura. «È forse questa la grande scommessa di questa rete - dice la dottoressa Ferro - in quanto l’aggiornamento del Pdta (percorso diagnostico terapeutico assistenziale) è quella di creare ponti all’interno dell’ospedale e tra ospedale e territorio, ma anche di seguire il paziente dopo l’intervento o le cure per cercare di alleviare gli effetti collaterali delle stesse».
Nuova figura importante della rete clinica sarà poi quella del «case-manager», una figura infermieristica che diventa punto di riferimento per la paziente, i familiari e il medico di medicina generale fornendo le informazioni sui trattamenti, sulla riabilitazione, sul percorso stesso.

Suo compito sarà anche quello di comunicare tutti gli appuntamenti che il percorso diagnostico-terapeutico prevede, nonché identificare i bisogni della persona. Poi c’è il ruolo dei volontari, anche loro inseriti nel percorso diagnostico terapeutico, con il compito di portare la voce dei pazienti in un settore dove solitamente a «decidere» sono soprattutto i clinici, ma il cui punto di vista, in una sanità che punta all’umanizzazione delle cure, è fondamentale. Contro la cattiva informazione sull’alimentazione dopo una diagnosi di tumore scenderà in campo anche il dietologo, figura che entrerà a far parte delle rete per far fronte anche alla tendenza ad ingrassare, a causa di vari fattori, delle donne in cura per tumore al seno. In totale gli attori della rete senologica saranno sedici. Oltre a mammografista, chirurgo senologo, chirurgo oncoplastico, oncologo medico, radioterapista, anatomopatologo, anche psicologo, fisiatra e fisioterapista, medico di medicina generale, medico-nucleare, infermieri, case manager, genetista, nutrizionista, reumatologo e volontari. Ovviamente al centro di tutto rimarrà la paziente.

«Oggi tra le donne che arrivano con una diagnosi di tumore al seno ci sono anche donne giovani in quanto le nuove tecnologie diagnostiche permettono di individuare tumori molto piccoli», testimonia la dottoressa Ferro.

Negli ultimi anni il numero di tumori al seno diagnosticati è stato in costante aumento. Erano stati 493 nel 2010 e sono stati 611 nel 2015. E a crescere sono soprattutto i tumori scoperti grazie allo screening (185 nel 2010 e 263 nel 2015). Screening al quale le donne sono invitate a partire dai 50 anni ma è in fase di studio la possibilità di abbassarlo a 45 per una diagnosi più precoce.


 

TEST GENETICI PER CAPIRE IL RISCHIO

Se normalmente una donna ha un dieci per cento di possibilità che le venga diagnosticato un tumore al seno nell’arco della sua vita, quando è presente una mutazione a carico dei geni BRCA1 e/o BRCA2 questa possibilità aumenta,  oscillando dal 40 all’80%.

Per questo l’oncologia medica, nel caso di tumori al seno e alle ovaie, là dove sono presenti più casi in famiglia o il tumore presenti particolari caratteristiche, punta ad indagare nel Dna per capire se quel tumore è la conseguenza di una mutazione presente e se i familiari devono considerarsi «a maggior rischio». Per fare questo è sufficiente un prelievo del sangue. «Fino a poco tempo fa il test veniva inviato a Padova e ci volevano dai 6 agli otto mesi per avere la risposta - spiega la dottoressa Antonella Ferro - ma a breve sarà letto a Trento e i tempi dovrebbero essere ridotti».

Nel 2016 sono stati circa un centinaio i test genetici analizzati e di questi circa un 10% ha confermato la mutazione. «Il numero di persone che vengono invitate a effettuare questi test è in crescita. Di fronte alla conferma della mutazione genetica c’è il convolgiemnto anche dei familiari e un consulto onco-genetico per decidere come procedere. Le persone ammalate saranno sottoposte a maggiori controlli o potranno decidere di sottoporsi ad interventi più radicali. I familiari sani, invece, possono scegliere se sottoporsi a controlli mirati (mammografia, ecografia e risonanza magnetica) oppure effettuare interventi profilattici».

È il caso di due donne trentine: una ha preferito effettuare una mastectomia totale e l’altra che lo farà a breve.
«Avere la mutazione genetica non significa essere malati, ma avere maggiore probabilità di contrarre la malattia. Inoltre la persona con mutazione ha il 50% di possibilità di trasmettere il gene al proprio figlio o figlia», aggiunge la dottoressa Ferro che spiega come il coivolgimento sul maschio sia più difficile anche se ogni anno ci sono comunque 3-4 di tumori al seno anche tra gli uomini. Alternativa ai controlli frequenti o all’intervento è quello della chemioprevenzione, farmaci che riducono il rischio.

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