Profughi giù dal bus, adesso c'è l'inchiesta «Non è un caso, è successo spesso»

di Chiara Zomer

Inizia a farsi seria, la faccenda dell’autobus che non si è fermato per far salire i richiedenti asilo. Perché fino ad ora era più o meno un caso mediatico, quantunque finito in primo piano anche nelle cronache nazionali. Adesso è diventato anche un caso giudiziario: la procura ha aperto un fascicolo a carico di Moreno Salvetti, l’autista immortalato nei filmati inviati a Trentino Trasporti.

L’ipotesi di reato per cui si procede è interruzione di pubblico servizio, con l’aggravante però della discriminazione razziale, ai sensi della legge Mancino. Ma è evidente che il lavoro degli inquirenti - l’inchiesta è coordinata dal sostituto procuratore Fabrizio Deangelis - si allargherà alla gestione generale di quella tratta. L’obiettivo è insomma capire cosa sia accaduto nei due giorni «incriminati», ma pure cosa sia accaduto in precedenza. Perché è pacifico che chi ha fatto i due video, sapeva cosa sarebbe potuto accadere ed era pronto per immortalare tutto. Quindi quel 4 dicembre presumibilmente non era la prima volta che i richiedenti asilo non riuscivano a salire sul mezzo pubblico. L’indagine tenterà di fare chiarezza.

Meglio sottolinearlo subito: dal punto di vista giudiziario, l’apertura del fascicolo è poco più che un atto dovuto, che ha preso avvio per altro prima che la notizia diventasse di dominio pubblico. Quindi nulla di può dire, ora, della valutazione che darà dei fatti l’ufficio inquirente. Verso fine febbraio a palazzo di giustizia è arrivato l’esposto di Trentino Trasporti, di cui la presidente Monica Baggia ha parlato nei giorni scorsi.

Un esposto in cui si fa espresso riferimento ai due video, filmati uno il 4 e l’altro il 5 dicembre scorso: si può vedere nel primo caso la corriera che passa davanti alla fermata in cui un gruppo di richiedenti asilo aspetta, senza però frenare e aprire le porte per farli salire. Nel secondo video il mezzo si ferma sì, perché c’è un profugo in mezzo alla strada, ma appena lui si scansa la corriera riparte. Secondo i migranti si è trattato di un gesto deliberato contro di loro. Secondo l’autista, i richiedenti asilo non avevano segnalato la volontà di salire, alzando il braccio. Ora la procura valuterà cosa sia accaduto. Partendo quantomeno da un dettaglio: i video.

Filmati da alcuni operatori del campo di Marco. Tre persone, che in queste ore saranno sentite dalla procura, affinché raccontino precisamente come sono andati i due episodi che hanno immortalato. Soprattutto, gli operatori potranno fare chiarezza anche su un punto: se è vero che quel 4 dicembre non è stato il primo episodio simile. Perché qualche dubbio viene. Certo è che i richiedenti asilo si erano lamentati con gli operatori del campo, per quello che nei loro confronti era un disservizio.

E alcuni dettagli fanno effettivamente pensare che il problema non sia nato quel 4 dicembre: a scuola - dove i migranti erano attesi - qualcuno si era fatto sentire, con il campo di Marco, lamentando l’assenza o l’arrivo in ritardo dei ragazzi, che appunto non erano riusciti a raggiungere le aule in tempo per via del trasporto pubblico. Soprattutto, quel che fa immaginare che il problema sia sorto prima di quel 4 dicembre, è proprio la presenza del video: chi ha filmato la scena, era pronto a filmarla. Forse sapeva quel che ci si poteva aspettare. Ma se è così, allora dev’essere accaduto in altre occasioni, in passato. E che sia stato un errore, un problema di comunicazione o - nella peggiore delle ipotesi - un atto deliberato, magari a sfondo razzista - difficile imputarlo al solo Salvetti: lui quella tratta l’ha fatta solo due giorni, in sostituzione di un collega.

Ecco, a queste domande cercherà di rispondere la procura.


«Non è un caso: spesso ci lasciano a piedi»

«Quando alle fermate dell’autobus a via Pinera I a Marco gli autisti vedono un gruppetto di 10 -15 africani tirano dritto. Ormai sappiamo che è sempre così, ma non è giusto, ci lasciano a terra perché siamo neri. Non solo, siamo costretti a percorrere la strada a piedi, con il rischio di finire investiti o di causare incidenti stradali».

A parlare come testimone diretto è Ousmane, venticinquenne della Guinea, in Italia ormai da quasi due anni, prossimo alla licenza media e futuro meccanico, che insieme ad altri ragazzi dalla pelle scurissima, come la sua, non è stato caricato sul bus il 5 dicembre scorso dall’autobus guidato dal consigliere comunale di Avio Moreno Salvetti.
Ousmane è un giovane profugo che dopo aver studiato geologia nel suo paese, ha deciso di venire in Italia. Così spiega la sua storia: «Sono stato a Trento per un mese, poi sono arrivato a Rovereto. È una città che mi piace in cui voglio restare, per questo motivo sto prendendo la licenza media e sto allo stesso tempo imparando, grazie a un corso professionale, il mestiere del meccanico».

Tutti i profughi, come è noto, hanno regolare titolo di viaggio, un tesserino-abbonamento, consegnato a ogni profugo da Cinformi, che permette loro di muoversi sui mezzi pubblici.
L’episodio di dicembre, l’unico che ha destato scalpore, perché è arrivato al vertice delle cronache nazionali, generando un dibattito che va ben al di là dei confini provinciali, è tutt’altro che isolato. Almeno questo è ciò che, con disarmante semplicità, lascia capire Ousmane. Anzi, stando alle parole del giovane guineano, si tratterebbe di un’abitudine da parte dei dipendenti dell’azienda trasporti, quella di lasciare a terra i passeggeri.

Le linee su cui accadrebbero questi episodi sono quella cittadina che dal centro di Rovereto porta a Marco e quella che collega Rovereto ad Ala. Spiega Ousmane: «Durante l’estate non ci caricano quasi mai. Noi li aspettiamo, vedendoli arrivare da lontano, e facciamo segno all’autista di fermarsi. Ma quello prosegue facendo finta di niente. Quando arriva l’inverno non sempre ci fanno salire».
Ma a furia di rimanere appiedati, i giovani hanno deciso di reagire. Non si sono dati per vinti e hanno informato gli operatori della Croce rossa di stanza presso il campo di Marco della situazione. Da qui si è arrivati al video, alla segnalazione a Trentino Trasporti e alla denuncia sui media.

I disagi, per loro, sono evidenti. Molti profughi sono impegnati nel servizio civile, altri nella pulizia delle strade, usare i mezzi pubblici è quindi una necessità. La giornata di molti di loro è lunga, al mattino sono impegnati nel servizio civile, nel pomeriggio vanno a scuola, la sera partecipano ad altri corsi professionalizzanti. Perdere una corsa può diventare una condanna a percorrere la lunghissima strada dal centro cittadino a Marco nel cuore della notte, in un tratto come quello fra Lizzana e Marco con una scarsa illuminazione.
Infine, conclude Ousmane: «Ho paura, perciò non voglio farmi conoscere per questa storia. Quando si è in un Paese straniero bisogna rispettare le regole che trovi, ma sei comunque sempre alla mercè della volontà degli altri».

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