Trento, la truffa del finto avvocato Via 1.400 euro, condannati in tre

di Flavia Pedrini

Chiunque, di fronte ad un'emergenza che riguardi un proprio caro, farebbe di tutto per risolvere la situazione.

E così, quando un anziano padre di Trento si è sentito dire da un sedicente avvocato che il figlio era rimasto coinvolto in un incidente, si trovava dai carabinieri e servivano 2.500 euro per risolvere alcune questioni relative al sinistro, non ha esitato a mettere mano al portafoglio.

Ma questa volta i truffatori - tre napoletani - non l'hanno fatta franca: incastrati dai tabulati telefonici, sono finiti a processo. In due - un 35enne e un 43enne hanno deciso di chiudere la vicenda con un patteggiamento: 2 anni di reclusione e 1.100 euro di multa per il primo, in continuazione con un'altra sentenza per fatti analoghi e 1 anno e 600 euro di multa per l'altro. Il terzo imputato, 43anni, fratello del 35enne, è stato invece condannato in rito abbreviato a sei mesi.
I fatti definiti in Tribunale a Trento risalgono al gennaio 2016.

La trappola segue un copione che, in tutta Italia, ha purtroppo mietuto molte vittime. La mattina del 22 gennaio, secondo quanto ricostruito dalla polizia, l'anziano ha ricevuto una telefonata. Dall'altro capo del telefono c'era il 35enne che, spacciandosi per un avvocato, informava la vittima che il figlio aveva aveva tamponato un motociclista e si trovava presso la caserma dei carabinieri e che aveva subito bisogno di 2.500 euro per risolvere alcuni problemi legati all'incidente.

L'anziano non aveva tutto quel denaro sotto mano, ma il finto legale lo aveva rassicurato dicendo che avrebbe versato lui la somma restante. Per accelerare la pratica l'interlocutore lo informa che avrebbe mandato subito un proprio collaboratore a ritirare il denaro.

E di lì a qualche minuto, in effetti, hanno suonato alla porta e si è presentato il complice (per l'accusa sarebbe il 43enne) che ha dunque intascato il denaro raccolto, ben 1.400 euro.

La moglie della vittima ha quindi chiesto di avere una ricevuta ma, con una scusa, il presunto collaboratore si è allontanato, facendo perdere le proprie tracce. A quel punto i due coniugi, iniziando a sospettare che qualcosa non funzionasse, hanno telefonato al figlio, scoprendo che, per fortuna, stava bene e che non aveva avuto alcun incidente.

La coppia ha subito chiamato la polizia, che ha raccolto la denuncia dell'accaduto.

Risalire agli autori dei raggiri non è mai semplice, ma in questo caso - seguendo le «briciole» lasciate dalle telefonate - gli investigatori sono risaliti agli autori.

Prima hanno analizzato le telefonate ricevute dalla vittima e sono risaliti ad un numero di cellulare intestato ad un albanese, dal quale erano partite decine di chiamate verso la nostra provincia (segno che erano state lanciate varie «esche»).

Quindi hanno individuato la cella telefonica da cui partivano le chiamate - l'area di Verona - e, incrociando i nomi degli ospiti degli alberghi con quelli dei destinatari di altre chiamate - sono risaliti ai due fratelli napoletani. Proprio quel giorno, peraltro, nel corso di un controllo all'uscita dell'A22, era stata fermata un'auto sulla quale sedevano il fratello del 35enne e il 43enne napoletano.

Ma se i primi due soggetti - assistiti dagli avvocati Gianluca Pinamonti e Sara Pinamonti - hanno deciso di patteggiare, il fratello del 35enne, che per gli inquirenti attendeva in auto sotto casa della vittima, nega un coinvolgimento ed è deciso ad impugnare la sentenza.

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