Punto nascite: operazione di salvataggio con il Veneto Cavalese resiste ma il rischio è che Roma chiuda

di Domenico Sartori

La Provincia di Trento chiede alle Regioni vicine, in primis Veneto e Lombardia, di mettersi insieme.

L’idea è di chiedere al Ministero della Salute il via libera all’attivazione di un modello alternativo per i punti nascita periferici a rischio chiusura.

COSA FANNO I VENETI

Ma intanto il governatore veneto, Luca Zaia non stanno fermo. Con la giunta ha deciso di adottare un nuovo modello organizzativo, «a rete», anche se poi l’ultima parola spetta al Comitato nazionale nascite. «Noi proviamo a resistere» ha spiegato nei giorni scorsi l’assessore regionale alla specificità, Gianpalo Bottacin, di Feltre, intervenendo sull’ipotizzata chiusura del punto nascita dell’ospedale di Pieve di Cadore «con un enorme sforzo anche economico come Regione stiamo tenendo duro anche per dare risposte concrete nel disincentivare lo spopolamento della montagna».

TRENTINO: POCHE CERTEZZE

E al momento i cittadini trentini brancolano nel buio. Il punto nascite di Cavalese non sarà chiuso, per ora, ma il rischio vero è che, mentre a Trento si pianifica ogni tentativo per la sua sopravvivenza, a Roma si decida altrimenti. Che, nella sostanza, il Comitato nazionale per il percorso nascite non conceda altre deroghe. L’assessore provinciale alla salute Luca Zeni, nell’incontro con gli amministratori pubblici di Fiemme e Fassa e davanti ai referenti politici di zona (i consiglieri Pietro De Godenz e Giuseppe Detomas , l’assessore Mauro Gilmozzi , e pure Graziano Lozzer ) ha dichiarato: «C’è la volontà di cercare una soluzione».

SOLUZIONI TAMPONE

Parla di difficoltà perché «scadono i sei mesi concordati» e «abbiamo l’obbligo di rendicontare la situazione. È questo il rischio enorme: sentirci dire da Roma che lo dobbiamo chiudere finché non abbiamo trovato una soluzione».

Alla fine, due le linee di azione:

La prima, immediata: assumere i due pediatri che si possono mettere in organico. Spiega il direttore generale dell’Azienda sanitaria, Paolo Bordon : «Assumeremo dalla mobilità il medico piemontese che ha superato il colloquio, ma che per venire deve avere l’autorizzazione della sua amministrazione. Se potesse venire domani, lo prenderemmo subito. Poi, c’è una graduatoria con il primo medico da assumere, che abbiamo contattato».

«Potrebbe essere qui entro un mese» dice Bordon. Altra iniziativa: «Un altro bando di mobilità interregionale. Pare ci sia qualcuno interessato. L’Azienda - aggiunge - ha già fatto concorsi su concorsi. L’ultima prova si è svolta venerdì scorso e, per ora, di sabato e domenica non facciamo concorsi...».

La seconda linea è la mobilitazione, da avviare con le altre regioni che hanno analoghi problemi di mantenimento dei punti nascita nella zone periferiche e orograficamente difficili, per «suggerire» al Ministero un modello alternativo, che permetta di andare «sotto» la deroga già riconosciuta dei 500 parti all’anno, attivando un meccanismo di reperebilità dei medici pediatri.

PEDIATRI: I NUMERI

«Lo abbiamo già chiesto al Ministro» spiega l’assessore Zeni «chiedendo altri standard per garantire comunque la sicurezza. Con questo modello basato sulla reperibilità, basterebbero 4 pediatri anziché 6 per garantire l’apertura su 24 ore».

La riunione di lunedì è stata seguita nella prima parte anche dal presidente della Provincia, Ugo Rossi: «Ci rendiamo conto che sono stati fatti dei passi mai fatti fin qui!». «Passi» per tenere aperto il punto nascite. Passi elencati dal direttore dell’Azienda sanitaria, accompagnato tra gli altri da Giovanni Maria Guarrera del consiglio di direzione, da Luca Nardelli, fresco di nomina a «coordinatore dell’integrazione ospedale-territorio» per le valli dell’Avisio, e dal primario di pediatria Annunziata Di Palma.

Anche il dirigente del Dipartimento salute della Provincia, Silvio Fedrigotti, ha partecipato all’incontro. Bordon è arrivato a citare le mail dei pediatri contattati, senza successo, per dire quanto sia dirimente, per questi professionisti, ben più dei bonus in busta paga, la questione sicurezza.

MODELLO COSTANTE NEL TEMPO

«È come se volessimo mettere cardiochiururgia a Cavalese. Lo si può fare, ma il problema è tutto quello che sta attorno, che garantisce sicurezza. E il problema è mantenere il modello nel tempo. Altrimenti, dopo sei mesi, un pediatra se ne va, se non c’è questa rete di sicurezza».

«Abbiamo indicato il percorso fatto» dice l’assessore Zeni «tutte le iniziative esperite, l’esito dei concorsi, i tentativi fatti, anche attraverso i contatti personali, per reperire pediatri. Abbiamo mostrato i moduli utilizzati per smentire chi ha detto che li avremmo disincentivati. Il dato reale è la difficoltà a trovare oggi pediatri disponibili ad andare in un luogo periferico, meno attrattivo.

LA SCADENZA

Ora, però, è col Comitato nazionale che dobbiamo rapportarci, con il quale ci confronteremo nelle prossimo settimane per capire come proseguire nelle iniziative per reperire questi professionisti. Il 31 gennaio scadono i sei mesi, ma non è una data perentoria».

SGUARDO SUL VENETO

E per il modello alternativo? «Abbiamo preso contatti con altre regioni per vedere se ci accompagnano nella richiesta al Ministero, costruendo con loro una rete». Il governatore del Veneto, Luca Zaia , difende i punti nascita periferici... «Bene, vorrà dire che potrà rispondere alla nostra nota e aggregarsi a noi».

 

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