«Le divise a scuola ci renderebbero tutti uguali Ma con i nostri vestiti raccontiamo chi siamo»

Parlano alcuni rappresentanti degli studenti trentini: non piace l'iniziativa dei politici

di Matteo Lunelli

I politici hanno detto sì, i presidi no. Ma i diretti interessati, ovvero gli studenti, ovvero coloro che più di tutti, insieme alle famiglie, dovrebbero «subire» la decisione, cosa ne pensano? Abbiamo chiesto ad alcuni dei rappresentanti di istituto delle scuole superiori di Trento l'opinione in merito all'adozione delle divise scolastiche, votata dal consiglio provinciale qualche giorno fa.

Opinioni a titolo personale, perché tutti hanno sottolineato come «la scuola è ormai è finita, quindi non possiamo confrontarci con gli altri studenti». I ragazzi si schierano in gran parte con i presidi, bocciando la norma. Ma spiegano anche i perché e danno una serie di chiavi di lettura interessanti.

Partiamo con Elena Cramerotti (nella foto in alto con una compagna tedesca durante l'anno in Irlanda), rappresentanti dello Scholl, che l'esperienza della divisa l'ha vissuta in prima persona. «Ho fatto l'anno all'estero in Irlanda, vicino a Galway: prima della partenza sapevo le regole sull'abbigliamento ed ero abbastanza entusiasta, perché faceva molto Hogwarts ed Harry Potter. Poi, però, ho cambiato idea e non consiglierei a nessun politico di adottare da noi la stessa regola. I motivi sono uniformare, creare identità e azzerare le differenze, soprattutto economiche. Beh, questo non succede: scarpe, giacca, zaino, cappelli, fanno comunque emergere le differenze.

Poi ci sono i costi: io sono piccola e non c'era la divisa della mia taglia, così me la sono duvuta far fare da una sarta. E poi c'è la divisa standard, estiva e invernale, ma poi anche quella per le attività pratiche, come ginnastica o i laboratori di arte, e i costi aumentano. All'inizio mi hanno detto che c'erano anche motivi di decoro, ma alla fine si ha l'effetto contrario: ovvero appena si può togliere la divisa alcuni fanno di tutto per esprimere la propria personalità e spesso eccedono. Noi ragazze dovevamo sempre indossare la gonna, ma a volte non è comodo e pratico metterla. Un aspetto positivo, però, c'era: la mattina appena alzata non dovevo pensare a cosa mettere?». 

Anche Chiara Taiariol del Prati boccia l'idea: «Non mi pare una cosa essenziale. Ci renderebbe tutti uguali, ma forse non hanno pensato che noi non vogliamo essere tutti uguali, anzi ci piace ostentare il nostro modo di essere anche con l'abbigliamento. E poi ci sono comunque i modi per differenziarci anche con una divisa obbligatoria addosso. Infine direi che in un periodo di crisi non mi sembra il caso di aggiungere questa spesa alle famiglie. E, nel caso fossero pagate dalla scuola, i soldi potrebbero essere spesi per cose più importanti, come un contributo sui libri scolastici». 

Nessuna apertura anche secondo Thomas Oss Papot del Tambosi. «Quando ho letto la vicenda ho iniziato a ridere pensando che fosse demenziale presentarci a scuola tutti vestiti uguali. Siamo tutti diversi uno dall'altro e il modo di vestire è un modo per esprimere chi si è e cosa si pensa. Nella vita non sono tutti uguali e non ci si può nascondere dietro una felpa o una giacca». 

Qualche apertura la concede Matteo Perghem del Buonarroti: «Prima di tutto penso che avrebbe un senso se tutti gli istituti lo facessero e poi dovrebbe essere una divisa sobria ma giovane, non pesante e antiquata. Direi che potrebbe aiutare ad aumentare il senso di appartenza, un problema che noi al Buonarroti abbiamo. Però credo anche che i modi per differenziarsi ci siano comunque: se un ragazzo tira fuori un cellulare da mille euro o scarpe di un certo tipo è evidente che si capirà subito il suo status economico». 

«Alle elementari andavo con il grembiule - dice Martina Franceschini del Galilei - e mi pare una buona cosa se qualche alunno si sente discriminato. Però molti ragazzi vedono un limite alla libertà d'espressione, anche se ritengo che per qualche ora al giorno non farebbe male a nessuno». 

Enrico Chiogna del Da Vinci è per il no alle superiori e un ni alle medie: «Le storie di bullismo o isolamento avvengono più alle medie, quindi potrebbe essere un'idea. Alle superiori i ragazzi hanno preso coscienza di chi sono e di come interagire con le differenze, sociali, economiche, politiche, quindi non avrebbe senso tenerle nascoste. E poi tutti troverebbero il modo per riuscire a palesarle nonostante una divisa».

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