Arco, Cavalese, Tione: crollo dei parti con i punti nascita «part time»

di Denise Rocca

La riorganizzazione dei punti nascita negli ospedali periferici di Arco, Cavalese e Tione ha avuto come primo effetto quello di mettere in fuga le partorienti, che si sono rivolte direttamente agli ospedali di Trento, Rovereto e Cles. Lo confermano i dati che arrivano dai reparti di Ostetricia, dove il personale medico e infermieristico ha visto andare «a picco» il numero dei parti. Dal 25 novembre - giorno in cui è scattata la riorganizzazione - fino a ieri pomeriggio, a Cavalese è venuto alla luce un solo bambino, cinque ad Arco e due a Tione. 

Con l’adozione della direttiva europea che prevede 11 ore obbligatorie di riposo tra un turno e l’altro, l’Azienda sanitaria è stata costretta a tenere aperte le sale parto solo «in ore d’ufficio», dalle 8 alle 18 e a chiuderle nei giorni festivi. Le donne che si sono presentate in pronto soccorso fuori orario sono state dunque accompagnate nell’ospedale più vicino, a bordo di un’ambulanza. L’ultimo caso - secondo quanto si apprende - risalirebbe a domenica in tarda mattinata, quando una donna in dolce attesa si è presentata all’ospedale di Cavalese ed è stata trasportata a bordo di un mezzo di emergenza al Santa Chiara in compagnia di un’ostetrica, affrontano un’ora e 20 minuti di viaggio.
«Il problema riguarda la carenza di anestesisti, con ripercussioni sull’organizzazione dell’intero ospedale» osserva Cesare Hofen del sindacato degli infermieri Nusing-Up. «Questo è un fenomeno unico a livello nazionale» commenta il direttore di Ostetricia e Ginecologia dell’ospedale di Arco Arne Luehwink .

Sono convinto che quella che viviamo nelle ultime due settimane sia l’anticamera della chiusura del reparto

Qui la previsione era di raggiungere i 450 parti a fine anno, ma secondo il dottor Luehwink, il contatore si arresterà a quota 400. «Proseguiamo normalmente le operazioni di pre-ricovero delle donne che avevano scelto Arco per partorire, eseguendo visite ed esami, ma non possiamo fare a meno di informarle su questa assurda situazione» riferisce il primario. Le pazienti lascerebbero dunque in maniera autonoma Arco per mettere alla luce i loro figli a Rovereto, ma «in oltre dieci casi» l’ospedale avrebbe provveduto al trasferimento in ambulanza, in quanto non veniva assicurata la possibilità di completare il travaglio all’interno della struttura. «Dobbiamo pensare alla prevenzione delle criticità per le mamme e per i loro bambini. Sono convinto che quella che viviamo nelle ultime due settimane sia l’anticamera della chiusura del reparto».

Per quanto riguarda l’ospedale di Cavalese, in assenza di riscontri dall’Azienda Sanitaria la situazione viene illustrata da Alessandro Arici, referende dell’associazione «Parto per Fiemme». A gennaio e febbraio 2015 le assenze del personale hanno comportato l’azzeramento dei parti, e dunque in nove mesi di attività, nell’ospedale si sono registrate 226 nascite: «In assenza di disguidi avremmo raggiunto i 300 parti, ma a questo punto credo rimarremo ben al di sotto di quel numero» commenta Arici, secondo il quale sarebbero state numerose le donne che per mettere al mondo un figlio avrebbero scelto un ospedale altoatesino. «Chi è a conoscenza della situazione evita di passare per Cavalese e punta su Bolzano o Vipiteno, con un conseguente aumento dei costi per la sanità trentina, che dovrà rimborsare l’Azienda sanitaria sudtirolese. Di certo non nasceranno da noi i nove bimbi che prevedevamo di portare grazie agli incentivi legati al nostro progetto. Ora » conclude.

Nella sala parto di Tione, infine, a dicembre sono stati partoriti due soli neonati: il personale sanitario segnala che pur in assenza di dati precisi sarebbe sensibile il calo di donne incinte che si rivolgono all’ospedale: vanno direttamente a Trento.


 

TIONE: IN PIAZZA PER L'OSPEDALE

In mezzo al piazzale dell’ospedale di Tione campeggiavano ieri sera tanti striscioni, qualcuno ironico qualcuno meno, tutti arrabbiati, tutti contro le decisioni provinciali. «Quando mal tempo ci sarà e l’elicottero non arriverà, il paziente chi lo salverà?» quello dietro al palco. Domanda retorica per le vaste Giudicarie, da Campo Carlo Magno a Lodrone e Ponte Arche, il cui centro più vicino, nel comune di Comano Terme, sta ad almeno 40 minuti di auto dal S.Chiara di Trento. E ancora un’amara ironia: «Cari i nostri assessori, non sono programmabili i nostri malori» e «Il rianimatore è venuto a mancare, cittadino non ti allarmare» e infine una promessa di lunga memoria: «Siate certi, ci vediamo alle prossime elezioni».

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Temperatura sotto lo zero ma animi caldi, caldissimi, per una riorganizzazione ospedaliera che dalla folla riunita ieri per manifestare contro le riduzioni di servizio è stata bollata come una chiusura de facto dell’ospedale giudicariese. Così personale medico e infermieri, amministratori, politici, ma soprattutto gente comune hanno risposto numerosi alla manifestazione lanciata nei giorni scorsi via Facebook in difesa dell’ospedale di Tione organizzata ieri sera nel piazzale antistante il polo giudicariese che ha fatto il pieno.

E non c’erano solo giudicariesi: sono venuti anche rappresentanti da Borgo, Cavalese e dall’Alto Garda, altri territori i cui ospedali sono stati ridimensionati come Tione dalle ultime misure provinciali: «Rimaniamo uniti - l’appello ripetuto da più parti - siamo tutti nella stessa situazione, non molliamo perché la sanità è il cuore di una vallata e le vallate sono lontane dal centro. La sovranità è del popolo, non della politica, che dovrà capire un’iniziativa così forte come questa».

Non siamo cittadini di serie B

C’era scoramento, tanta delusione e rabbia da chi periferico non si sentiva fino a quando non ha cominciato a venire meno la certezza di un servizio sanitario pari a quello di chi vive in città. «Non siamo trentini di serie B - ha tuonato dal megafono Giorgio Butterini, presidente della Comunità delle Giudicarie - stiamo chiedendo di non essere più considerati tali. Eppure siamo ancora fermi alla viabilità di cinquant’anni fa, e ora l’ospedale. Tutto questo non lo possiamo accettare più. Non stiamo chiedendo la luna, semplicemente i servizi essenziali: pronto soccorso, medicina, chirurgia, quei servizi di base sanitari che sono imprescindibili».

Cinquecento, settecento sono le stime più quotate, i numeri della manifestazione pro ospedale sono difficili da valutare, nessuno ha cifre certe: c’era gente assembrata alle porte dell’ospedale, moltissimi anche nel parcheggio superiore. «Andremo anche a Trento se servirà» promette ad un pubblico tutto applausi e incitamenti Fabio Lavagnino, rappresentante sindacale di Nursing Up. La folla applaude gli interventi più duri verso la politica provinciale: «Tranquilli ci dicevano – interviene uno dei rappresentanti dell’Alto Garda – non verrà toccato nulla, E poi dieci giorni fa ci dicono che non c’è più l’anestesista. Non vorrei che tra un attimo, senza dirci niente, ci ritroviamo con una casa di riposo al posto dell’ospedale». E i cittadini urlano, incitano, applaudono forte.

I tecnici sono a fianco dei cittadini, ma guardano già al futuro e lasciano la manifestazione con una domanda: «I 9 milioni di euro che servono alle nuove assunzioni – chiedono – da dove verranno presi? Si dice che debba anticiparli l’Azienda sanitaria, ma come farà se i bilanci chiudono in rosso?».

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