Donne «in vendita» per dieci euro Il mercato low cost del sesso in Trentino

di Marica Viganò

In quella casa dormivano e lavoravano, senza mai uscire. Come schiave, anche se nessuno le costringeva a rimanere segregate. Vivevano recluse le donne «gestite» dalle due maîtresse cinesi arrestate lunedì dai carabinieri. Sempre in casa, in attesa dei clienti: per non rischiare di perdere neppure dieci euro (questo il guadagno medio per prestazione, al netto di quanto era dovuto alle sfruttatrici) rinunciavano ad uscire anche solo per prendere una boccata d'aria. Avevano bisogno di soldi e dunque erano sempre a disposizione nell'orario indicativo di «lavoro», dalle 8 del mattino alle 11 la sera, arrivando ad accontentare fino a dieci uomini al giorno ognuna. Inoltre le loro sfruttatrici avevano predisposto ogni comodità, o quasi, affinché le ragazze non sentissero la necessità di contatti esterni, potenzialmente pericolosi per una organizzazione che deve rimanere nell'ombra. 
Tariffe cinesi e ampia offerta.
Una decina di ragazze si alternavano in un appartamento di via Caproni, a Roncafort. In quell'abitazione dormivano e mangiavano, ma non erano mai più di tre-quattro. Chi non guadagnava abbastanza veniva chiamata a Milano, dove aveva «sede» l'organizzazione, e poi spostata a Reggio Emilia, dove le due maîtresse arrestate su ordinanza di custodia cautelare - Hong Mei Huang e Daewi Sun - gestivano un'altra casa di appuntamenti. Le prestazioni aveva un prezzo «cinese», low cost: da 30 a 50 euro, con un supplemento per un intrattenimento prolungato. 
Dieci euro a cliente.
Alle ragazze sfruttate rimanevano in tasca pochi euro al giorno. Basti pensare che l'organizzazione pretendeva il 70% della tariffa, lasciando alle «lavoratrici» un misero 30%, circa 10 euro «netti» a prestazione. Tariffe ed orari d'appuntamento venivano gestiti dalla Huang, che per evitare che i vicini si lamentassero troppo del via vai di gente, come era già accaduto, aveva adottato questo sistema: era lei che rispondeva ai numeri di cellulare riportati negli annunci on line, fissava data ed ora degli appuntamenti e invitava i clienti a non suonare il campanello, ma a fare una telefonata al loro arrivo all'ingresso del condominio. La maîtresse a quel punto avvisava la ragazza nell'appartamento che apriva subito la porta, senza ricorrere al citofono. 
La spesa a domicilio.
Era dal luglio scorso che i carabinieri del nucleo investigativo provinciale controllavano la situazione in via Caproni. È stato in questo modo individuato un uomo di Sassuolo, un collaboratore delle maîtresse, che portava la spesa alle ragazze nell'appartamento di Trento. Le giovani donne, dunque, non dovevano neppure preoccuparsi del rifornimento di cibo o di trovarsi un altro alloggio. Tra l'altro, avrebbero avuto difficoltà a gestirsi autonomamente, conoscendo in italiano solo le poche parole necessarie alla loro «professione». 
La nostalgia per il figlio.
I carabinieri non hanno scoperto «solo» un'attività illecita di sfruttamento alla prostituzione: le ragazze che lavoravano per l'organizzazione, pur non essendo state obbligate con la violenza a vendere il loro corpo, avevano accettato il «lavoro» per avere denaro da mandare alle loro famiglie in Cina. Una di loro, in particolare, pensava sempre al figlio: era rimasto nel suo Paese, assieme al padre alcolista, ma grazie ai soldi che lei gli spediva dall'Italia poteva studiare per costruirsi una vita migliore. Le donne che ricevevano i clienti nell'appartamento di Roncafort non erano felici di fare quella vita: la loro tristezza e disperazione emerge dalle chiamate che facevano alle famiglie in Cina e dalle confidenze che si scambiavano.

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