Trento, la maxitruffa del farmaco «miracoloso»

Un fantomatico agente dei servizi segreti, il responsabile di un'azienda della Bielorussia e il brevetto per un farmaco «miracoloso», in grado di sconfiggere malattie come l'Hiv. Sono gli ingredienti della maxi truffa approdata in Tribunale a Trento: imputato per il raggiro un 53enne romano, che sarebbe riuscito a incassare oltre 180mila euro da un ignaro imprenditore trentino, convinto probabilmente di avere fatto un grosso affare, ma rimasto a tasche vuote.

La vicenda inizia nel 2010, quando la vittima entra in contatto con il cinquantenne, che si presenta come un membro dei servizi segreti, con importanti addentellati nell'ambiente politico, anche a livello internazionale. L'affare proposto appare allettante: entrare nel business di un nuovo farmaco, già brevettato in Bielorussia, in grado di curare efficacemente patologie come l'Hiv. Un prodotto particolarmente appetibile, che avrebbe suscitato l'interesse dello Stato libico. Dopo questo primo abboccamento l'imprenditore avrebbe perfezionato la proposta con una serie di incontri, durante i quali proponeva all'imprenditore di entrare a fare parte di una società in via di costituzione per sfruttare le potenzialità del nuovo farmaco una volta ottenuto il brevetto italiano.

Il tutto sarebbe stato reso più credibile da documenti che illustravano le caratteristiche del prodotto. A fare da specchietto per le allodole anche il riferimento a nomi importanti dell'imprenditoria italiana, pronti a investire.

A quel punto la vittima si è convinta della bontà dell'iniziativa ed ha deciso di fare parte del progetto attraverso la sua società. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti nel maggio 2010 il cinquantenne ha sottoscritto un impegno formale con il presunto referente dell'azienda Bielorussa ad essere della partita. Un impegno concretizzato dall'emissione di tre assegni bancari su un istituto di credito trentino. Le cifre sono importanti: una prima tranche di 25mila euro e, qualche giorno dopo, in occasione dell'atto costitutivo, ulteriori 91mila euro e 78 mila dollari. Tra maggio e giugno, dunque, ha sborsato circa 186mila euro.

Tutto sembra procedere bene e l'imputato rassicura l'imprenditore sull'attivazione della procedura per ottenere il brevetto del farmaco in Italia. Ma come accade in tutti i casi di truffa, l'affare invece all'improvviso prende tutt'altra piega e quello che sembrava un buon investimento si svela per quello che è: una «sola». Secondo l'accusa l'imputato avrebbe infatti ritirato la richiesta di brevetto e messo in liquidazione la società appena costituita, senza nemmeno informare la vittima.

A quel punto, con l'aiuto di un avvocato, il trentino scopre che i suoi interlocutori non avevano alcun diritto su quel farmaco. Un prodotto peraltro tutt'altro che «miracoloso»: il farmaco, secondo la ricostruzione degli inquirenti, non solo non era in grado di sconfiggere il terribile virus, ma non era stato commercializzato nemmeno in Bielorussia, essendo pericoloso per la salute.

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