Due trentine in aiuto dei migranti al confine più «caldo», tra Serbia e Ungheria

Da Trento a Röszke, dall’Italia al confine tra Serbia e Ungheria: mille chilometri per capire, per parlare, per portare una parola di conforto. L’attenzione di tutta Europa, in questi giorni, è rivolta a una zona della quale tutti, fino a qualche settimana fa, ignoravano perfino l’esistenza. Adesso, invece, quel confine, quel muro, quel filo spinato e, soprattutto, quelle migliaia di persone sono al centro dell’attenzione della politica e della società civile, oltre che della stampa internazionale. In quel posto, in territorio serbo ma ad appena un metro da quello ungherese, ci sono anche due trentine: Anna Irma Battino e Valentina Merlo (nella foto a destra) sono, fisicamente, sul pezzo, sulla notizia. Vogliose di capire e raccontare quello che vedono, quello che accade, quello che a volte la stampa internazionale ignora. Le due ragazze fanno parte di Meltin Pot, un’associazione per i diritti di cittadinanza, e di Global Project. Grazie a Twitter, seguendo l’hashtag #overthefortress, rendono partecipe il mondo di quello che accade.

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Cosa avete trovato a Röszke?
«Qui la situazione è tanto caotica quanto drammatica - racconta Battino -. Praticamente ogni ora si diffondono notizie, più o meno vere, che danno speranza o gettano nello sconforto i migranti. Stiamo parlando di 1.500 persone, provenienti da Siria, Afghanistan, Pakistan, Iran, Iraq, ma anche dal Nord Africa, da Sudan e Libia. Il flusso è continuo: stando qui ci si rende perfettamente conto di quanto gli arrivi via mare in Italia siano una piccolissima percentuale. D’altra parte lo dicono anche i numeri ufficiali: i viaggi della speranza vi terra nel 2015 hanno coinvolto mezzo milione di persone».
Chi sono queste persone e dove vogliono andare?
«Qui c’è di tutto, da neonati a bambini, da adolescenti ad adulti, uomini e donne. Mi ha sorpreso l’elevato numero di adolescenti, ragazzi di sedici o diciassette anni, che a Trento andrebbero al liceo e invece sono qui da soli, in viaggio da settimane. Credo che un aspetto ci debba far riflettere: stare qui al confine, dietro un filo spinato, senza sapere cosa accadrà domani, davanti a duemila poliziotti e militari che non li vogliono far passare è comunque la loro opzione migliore. Tentare di passare, rischiare anche la vita, è comunque l’opzione migliore. Non riesco a immaginare che situazione ci sia nei loro Paesi».
Oltre a un ruolo giornalistico, date anche una mano a queste persone con l’inglese e nel ricordare i loro diritti: c’è qualche storia che l’ha colpita particolarmente?
«Ogni persona che c’è qui ha alle spalle una storia incredibile, spesso drammatica. Un sedicenne afgano mi ha raccontato il suo viaggio: i genitori gli hanno dato tutti i soldi e lui è partito, due mesi e mezzo fa.Oggi è qui e punta ad arrivare in Olanda. Mi ha detto che non vede l’ora di arrivare a destinazione per potersi mettere in contatto con i genitori e dire loro che il viaggio è finalmente terminato. L’obiettivo suo, come quello di praticamente tutte le persone presenti qui è solo quello di attraversare l’Ungheria per raggiungere Germania, Svezia e Olanda. Noi parliamo con queste persone e facciamo anche da traduttrici con la polizia, visto che non tutti parlano inglese».
Qual è il pericolo più immediato per queste persone?
«Purtroppo sta iniziando un traffico illegale di persone. Durante la notte si vedono strani movimenti, ci sono dei «mercanti» senza dignità che chiedono soldi promettendo a questi migranti di portarli oltre il confine».
Le due trentine resteranno fino a venerdì al confine, per documentare e raccontare. Storie incredibili, che non possono lasciarci indifferenti.

 

Ecco alcune foto scattate da loro stesse:

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