Ecco perché Grisenti è stato condannato Favorì imprese amiche, ostacolò le altre

Favorì le imprese amiche, ostacolò le altre: ecco perché la Corte di Cassazione ha confermato la condanna di Silvano Grisenti

di Marica Viganò

Intercettazioni definite «illuminanti», conversazioni «inequivocabili», richieste di favori esplicite per perseguire non un interesse pubblico «bensì esclusivamente il proprio interesse privato», ossia «favorire le imprese "amiche"» e «ostacolare le altre» anche attraverso «minacce di guerra». Questo il quadro dell' affaire Grisenti delineato dalla Cassazione, che nel marzo scorso ha respinto il ricorso della difesa di «Caterpillar Silvano» contro la condanna ad un anno di reclusione per corruzione, truffa aggravata e tentata violenza privata inflitta dalla Corte d'appello di Bolzano nel marzo 2014.

Nelle sette pagine di sentenza si condensano le motivazioni, concise ma non per questo meno affilate per un'indagine che ha fatto emergere «il sistema», come evidenziano anche i giudici della Suprema corte citando un colloquio intercettato tra due tecnici che avevano affari con Silvano Grisenti: un «sistema» che vedeva protagonista l'ex potente assessore provinciale ai trasporti dell'èra Dellai prima e presidente dell'A22 poi, emerso nell'inchiesta «Giano Bifronte» dei pm Pasquale Profiti e Alessia Silvi.

La truffa aggravata era stata contestata per il pagamento con una carta di credito dell'Autobrennero di pranzi legati al partito o comunque non relativi all'attività svolta per l'A22. Ma è soprattutto sui reati di tentata violenza privata e di corruzione che si sono confrontati i giudici della Seconda sezione penale della Cassazione (presidente Antonio Esposito, consigliere estensore Mirella Cervadoro). L'accusa di violenza privata era partita da un'intercettazione, in cui Grisenti suggeriva a Giorgio Benedetti del consorzio Ccc di non presentare ricorso al Tar in relazione ai lavori per la Cispadana. L'ipotesi iniziale di reato era di tentata concussione, ma i giudici hanno evidenziato che Grisenti nei rapporti con il Consorzio cooperativo costruzioni non solo non era pubblico ufficiale, ma nemmeno incaricato di pubblico servizio. «L'imputato non perseguiva alcun interesse pubblico - evidenzia la Cassazione - bensì esclusivamente il proprio interesse privato di mantenere l'impegno assunto, quando gli era stata conferita la presidenza dell'A22, di favorire le imprese "amiche" e di estromettere e/o di ostacolare le altre, con la conseguenza delle cosiddette "minacce di guerra" da parte sua nei confronti di queste ultime imprese e, in particolare, del Ccc, che deve essere senz'altro considerata come "minaccia"».

La corruzione riguarda l'assegnazione dei lavori al casello di San Michele alla ditta Collini: Grisenti aveva chiesto come contropartita lavori di progettazione per l'Arca Engineering, di cui il fratello Giuseppe Grisenti era socio. La Cassazione evidenzia che i «giudici di merito hanno osservato che le conversazioni ambientali intercettate nell'ufficio del Grisenti e svoltesi tra quest'ultimo e l'imprenditore Fabrizio Collini erano illuminanti poiché contengono un'esplicita richiesta da parte dell'imputato nei confronti dell'imprenditore di incaricare la società di ingegneria di cui era titolare il fratello Grisenti Giuseppe della progettazione del nuovo ospedale di Trento, nonché gli accordi presi dai due interlocutori circa il rifacimento del casello autostradale di San Michele e su come "venirsi vicendevolmente incontro"». Il procuratore generale Giuseppina Fodaroni, condividendo almeno in parte le valutazioni dei difensori di Grisenti, gli avvocati Vanni Ceola e Alessandro Melchionda, aveva chiesto l'annullamento della condanna per corruzione, ossia il reato che ha portato fuori dal consiglio provinciale l'imputato; tuttavia la Suprema Corte aveva respinto il ricorso anche su questo punto.

«L'imputato - sostiene la Cassazione esaminando il contenuto degli atti processuali e il contesto probatorio - si è poi attenuto ai patti favorendo in sede di esecutività l'impresa del Collini». Vengono citate un paio di intercettazioni ambientali: la prima, fra Collini e Grisenti, con la richiesta del primo di ottenere un trattamento particolarmente favorevole; la seconda fra due tecnici, a confermare - secondo la Cassazione - «che vi fosse una precisa intesa tra il Collini e l'imputato, in merito a un trattamento privilegiato (non concesso ad altro imprenditore)».

Il colloquio fra i due tecnici si conclude con la constatazione che, se non facevano lavorare la società del fratello di Silvano Grisenti «proprio adesso che erano entrati nel sistema, li avrebbero estromessi dal giro».

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