Definì "assassini" tre pm di "mani pulite": condannato Vittorio Sgarbi

Confermata dalla Cassazione la condanna nei confronti di Vittorio Sgarbi a risarcire con 60mila euro tre ex pm del pool «Mani pulite» di Milano, Piercamillo Davigo, Gherardo Colombo e Francesco Greco, per averli definiti - in dichiarazioni riprese nel luglio 1994 dai quotidiani «Avvenire» e «Il Giornale», a un anno dai suicidi di Gabriele Cagliari e Raul Gardini - come degli «assassini» che «avevano fatto morire delle persone» e per questo dovevano «essere processati e condannati» in quanto costituivano «una associazione a delinquere con libertà di uccidere».

Ad avviso della Terza sezione civile della Suprema Corte - sentenza 10276 - «il diritto di critica è limitato dal rispetto della dignità altrui, e la dignità altrui è violata quando la critica trascende il limite della continenza verbale». E per quanto riguarda le espressioni usate da Sgarbi, all’epoca deputato, ritengono gli “ermellini” che «nemmeno la più benevola concezione del limite della continenza verbale potrebbe mai giungere ad ammettere che tali espressioni non violino quel limite».

La Cassazione, inoltre, sottolinea che la condanna di Sgarbi a risarcire i pm con 60mila euro non può considerarsi «esorbitante» se si considera il «lavoro svolto» dai tre magistrati offesi, la «gravità degli addebiti loro mossi» e «l’impatto sociale di affermazioni così drastiche». Senza successo Sgarbi ha protestato perchè gli editori delle due testate e i giornalisti che avevano riportato le sue esternazioni non erano stati condannati in solido con lui a risarcire i danni ai pm diffamati. Secondo Sgarbi, era compito dei giornalisti «verificare la violazione del limite della continenza verbale». In proposito i supremi giudici - con la sentenza 10276 depositata oggi - gli rispondono che questa richiesta lui la ha avanzata ben nove anni dopo l’apertura del procedimento a suo carico mentre avrebbe dovuto proporla nella prima memoria di costituzione in giudizio.

Quanto al fatto che gli ex del «pool» hanno promosso azioni risarcitorie per le stesse dichiarazioni di Sgarbi pubblicate, però, da altre testate, la Cassazione ha fatto presente - all’ex parlamentare - che «una medesima dichiarazione diffamatoria diffusa da più organi di stampa genera più danni». È stata così interamente confermata la sentenza emessa dalla Corte di Appello di Milano il 14 aprile del 2011.

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