Nepal, la nuova scossa di ieri nelle parole di Piergiorgio Rosati

di Leonardo Pontalti

La terra ha tremato ancora, ieri, in Nepal. Erano le 12.50 locali, le 9.05 italiane quando una scossa di magnitudo tra i 7.3 ed i 7.4 gradi ha nuovamente colpito le martoriate terre ai piedi dell'Himalaya.
Il sisma ha sorpreso Piergiorgio Rosati in volo. Il pilota trentino, già da settimane al lavoro in Nepal a bordo dell'elicottero con cui porta sollievo e salvezza alla popolazione - sotto forma di viveri, medicinali, scorte e passaggi aerei per fuggire dalla devastazione - si trovava in quota, quando ha capito che stava succedendo qualcosa.
«Subito non ci ho fatto caso. Ero decollato da poco dopo una pausa per fare rifornimento di carburante e in lontananza ho iniziato a scorgere la neve scossa dal vento che si alzava dalle cime e dai pendii, oltre ad una serie di frane di assestamento, che in quota sono frequenti. Poi di colpo, ho iniziato a vedere frane a destra e a sinistra, su ogni versante della valle che stavo sorvolando. Ed ho capito quello che stava succedendo».
Un nuovo sisma violento, che è stato avvertito distintamente anche in India e che, stando alle prime cifre fornite dal ministero dell'Interno nepalese, avrebbe fatto altri 40 morti e 1.180 feriti, che si aggiungono mestamente a quelli della sciagura dello scorso 25 aprile.


«So che la scossa di questa mattina (ieri, ndr) ha fatto nuovi gravi danni a Bhaktapur (20 km a sud est di Kathmandu) e ha raso al suolo il poco che rimaneva in piedi di Charikot (nel Nepal centrale, a tre ore dalla capitale, ndr). La cosa triste è che sembrava la classica giornata del ritorno alla normalità: in mattinata non avevo visto molti morti (anche a settimane dal drammatico terremoto di fine aprile continua il recupero di cadaveri: tanti quelli di vittime che ancora mancano all'appello, come quelli dei trentini Marco Pojer e Renzo Benedetti, ndr) e c'era ovunque tanta gente sorridente, per quanto possibile, impegnata a ricostruire quello che avevano e che è stato distrutto».
Ed invece sono tornate la paura ed il terrore.
«E purtroppo non ci lasceranno presto. Lo vedo anche ora che per oggi ho terminato di volare (abbiamo parlato con Piergiorgio Rosati alle 18, le 21.45 in Nepal, ndr): anche qui a Kathmandu dove dormirò stanotte e ci sono case che hanno resistito, tutti dormono per le strade, vestiti, pronti al peggio. Del resto, con una scossa di questa portata, ora non ci possiamo che attendere uno sciame sismico di assestamento, con altre scosse minori».

Non sarà una notte tranquilla.
«L'ennesima notte sul chi va là. Anch'io me ne starò con il letto vicino alla porta della stanza, con i pantaloni e le scarpe infilati. Pronti ad alzarsi e uscire all'esterno. Non è facile riuscire a dormire, nonostante ce ne sarebbe il bisogno, dato che qui le giornate cominciano presto.

Qual è la sua giornata tipo, in questi giorni?
«Sveglia alle 4.30, preparativi, carburante, poi in volo dalle 6 alle 19, con qualche pausa per mangiare e fare rifornimento. E alla sera i contatti con le autorità e le altre squadre di soccorso, per fare il punto per il giorno seguente. Fino a qualche giorno fa c'erano qui anche Alessandro Zortea e Franco Nicolini, ma ora che sono rientrati sono qui da solo. Ma sono costantemente in contatto con le altre squadre di lavoro: israeliani, tedeschi, spagnoli».

È stato impegnato nei soccorsi anche immediatamente dopo la nuova scossa?
«Sì, sono riuscito a trasportare a valle un gruppo di anziani e una famiglia con dei ragazzi di un villaggio vicino a Lukla, ai piedi dell'Everest, poi ho portato viveri ad altri villaggi. Il calore e la riconoscenza che ti sanno esprimere anche solo per qualche sacco di riso ti ripagano di ogni sforzo».

Ci sono novità nelle ricerche dei corpi di Marco Pojer e Renzo Benedetti?
«Purtroppo no, e il nuovo sisma non migliora le cose. Sia perché può aver complicato la situazione nella zona in cui si dovrebbero trovare, sia perché la priorità si è spostata sul soccorrere i nuovi feriti».

Proprio parlando di soccorsi: ci sono state numerose polemiche sulla gestione dell'emergenza da parte delle autorità locali. Che opinione ha potuto maturare sul campo?
«Le difficoltà sono state e sono tante, ma per le condizioni in cui si trova il paese credo che i nepalesi siano stati anche troppo bravi. Il fatto è che non ci si rende conto dell'enormità del disastro che si è verificato. Non so se anche paesi come il nostro, organizzati e con personale preparato, di fronte ad una cosa del genere avrebbe potuto fare di più. In più, le autorità nell'immediato hanno requisito ogni elicottero, ogni attrezzatura di società private, proprio per evitare che venisse salvato, o soccorso per primo, solo chi poteva pagare».

E nelle immagini che lei posta sui social vediamo spesso proprio gente poverissima.
«Ma molto determinata. Non c'è villaggio dove in questi giorni non abbia visto persone che cercavano di ripulire il terreno dalle macerie, recuperare mattoni e ricostruire le loro case. Fragili, come erano prima di crollare, ma almeno la forza per ricominiciare non manca.

E dopo il nuovo sisma in tanti dovranno ripartire nuovamente da zero, dopo pochi giorni.
«La cosa triste è proprio questa: le scosse hanno fatto ripiombare tutti nella paura quando si stavano riprendendo la loro vita. Oggi pomeriggio (ieri, ndr) sorvolando i villaggi distrutti non ho più visto quell'energia, ma tanti volti provati spuntare dai campi, ormai gli unici posti che si ritengono sicuri».

Fino a quando riuscirà a rimanere in Nepal per dare il suo contributo?
«Ancora per una decina di giorni, poi entro il 24 maggio sarò di ritorno in Italia e a Trento, per rientrare al lavoro al Nucleo elicotteri».

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