È indispensabile recuperare la fiducia negli insegnanti

«È importante ricordare  - è il messaggio di Federica Garzetti - che mentre un genitore ha un rapporto univoco col proprio figlio, un insegnante ce l'ha con una comunità di classe, dove le esigenze dei singoli si considerano necessariamente in un'ottica non peggiore, ma diversa. Se questa fiducia non si ristabilisce, se insisteremo tutti a voler avere ragione anziché a ragionare, la scuola continuerà ad essere solo un campo di battaglia, dove a vincere saranno i più aggressivi e maleducati, da una parte e dall'altra. Ma i perdenti, i morti e i feriti saranno troppi, come in tutte le guerre» I tuoi commenti

scuolaPartecipo da tempo al dibattito sulla scuola, che sta mettendo in luce la profonda incrinatura dei rapporti tra genitori e docenti, in primis, ma poi tra scuola e società e tra società e famiglia. Gli insegnanti lamentano la maleducazione dei ragazzi, la loro indolenza, l'apatia che li domina; subiscono i colpi inferti da genitori che hanno intenti accusatori, se non addirittura correttivi nei confronti della professione e perfino della persona.


Gli insegnanti sono costretti ad accettare, o declinare con educazione nel migliore dei casi, spassionati ed esperti consigli su come affrontare gli alunni e la propria materia. Hanno, nei vari ordini e gradi, la responsabilità di educare e istruire i ragazzi, per un monte ore settimanale che è andato crescendo negli anni, vista l'esigenza sempre più marcata delle famiglie di vedere i propri figli custoditi durante il giorno, in un ambiente sicuro, magari stimolante e possibilmente gratuito.

È sbagliato: la esigenze sociali non si possono ignorare, ma la scuola può rispondere a tanto, non a tutto. È un'agenzia educativa, certo sì, e deve trasmettere anche le buone regole della convivenza: anche, non solo. A scuola si va per imparare: per raggiungere delle competenze e valorizzare quelle in cui più si eccelle.

 

Il grado di scuola in cui insegno, in particolare, dovrebbe essere un momento in cui si consolidano le conoscenze di base e si orienta. Un orientamento globale, che dà una direzione ad ogni individuo. Non dunque un piccolo liceo, che sforna solo i dirigenti del futuro, ma dove nascono i germogli di ogni componente della società di domani: bravi medici dunque, bravi insegnanti, ma anche bravi meccanici, bravi falegnami, bravi estetisti e parrucchieri. Nessuno di noi vorrebbe andare da uno specialista che non sa curarlo, o da un avvocato che non è in grado di difenderlo. Ma nemmeno vorrebbe un impianto elettrico malfunzionante o un'acconciatura malriuscita, o una strada dissestata.

 

Questo significa indirizzare i ragazzi verso ciò in cui riescono meglio e fare in modo che quel meglio lo realizzino, impegnandosi con fatica, imparando da chi sa. Quanti sono gli alunni (e quindi i figli!) bravi a fare tutto? Pochi, pochissimi dentro una classe. Perché dunque generare aspettative così alte? Perché avallare l'idea che i bambini e poi gli adolescenti, siano sempre vittima di un sistema che determina solo ingiustizie e in cui ogni fallimento sia il frutto di un torto, di un accanimento degli insegnanti, o di un pessimo clima scolastico? Stiamo costruendo generazioni non abituate alla frustrazione e alla responsabilità: piccoli ego convinti di avere sempre ragione e deboli, debolissimi di fronte ad ogni difficoltà.

 

È un gigantesco pericolo sociale: è fondamentale riconoscere i propri limiti, e creare soggetti che li sappiano riconoscere; nel mare dei ricorsi di questi ultimi anni, mi chiedo dove sia la convenienza, non tanto a livello di prestazione dei singoli, quanto proprio a livello educativo, forse addirittura psicologico. Vedo ragazzi sempre più irrequieti, arrabbiati, distruttivi e soli: trascorrono a scuola o in funzione della scuola gran parte delle loro giornate. Mangiano in ambienti rumorosi, affollati e lo fanno in fretta e male, ingozzandosi quando possono di schifezze nel fuori pasto. Quando escono, i più seguiti devono correre verso una delle numerose attività che scandiscono le loro giornate: sport, musica, compiti. Gli altri si chiudono dentro i mondi ovattati e fasulli dei social network o della televisione.

 

Questi ragazzi vivono la famiglia al mattino, nella frenesia della partenza e alla sera, quando tutti sono troppo stanchi per qualsiasi cosa, sicuramente per litigare. Il senso di colpa per il tempo che manca spinge a riempire i figli di cose materiali o a organizzare la loro vita come quella di una star del cinema, piena di stimoli, di attrattive. Spinge a dar credito ad ogni loro lamentela e quel che è peggio a difenderli a prescindere; dico sempre ai «miei» genitori che ascoltare i bambini e gli adolescenti è sacrosanto, senza scordare però la loro età e praticando il sano beneficio del dubbio...

 

Si aggiunga che le famiglie si sentono giudicate nel loro ruolo, responsabili dei fallimenti dei figli, oberate da un lavoro che spesso diventa obiettivo finale, anziché funzione. Anche questo è sbagliato: bisogna che si ristabilisca un patto educativo e che il giudizio si sospenda da entrambe le parti. Il dialogo tra adulti impone che si mettano da parte gli arroccamenti personali, per riposizionare al centro i veri protagonisti della questione, cioè i ragazzi.

 

Ciò significa per gli insegnanti valutare in modo onesto gli alunni, al netto dei comportamenti, non dimenticando che le loro personalità sono in fieri e che gli adulti siamo noi. Non dimenticando che un genitore agisce, o crede di agire, sempre per il bene del proprio bambino e per amore. Spiegando i motivi per cui si prendono delle decisioni o si sceglie un metodo, perché la vera «materia» con cui abbiamo a che fare è la più preziosa di tutte.

 

Facendo sana autocritica rispetto alle lamentele, se sono fondate ed espresse con educazione. Lavorando sulla propria formazione, per riconoscere in tempo le difficoltà di apprendimento e affrontarle con professionalità e non con vetusti pregiudizi. Cercando di condividere con i colleghi le strategie e le misure per contenere comportamenti «border line» e chiedendo aiuto, se necessario.
È vero che in questo siamo lasciati molto soli e che la professione docente, al di là di molti sciocchi luoghi comuni, è una professione ad altissimo rischio «burn out», paradossalmente di più se la si vive con coscienza e passione.

 

Per i genitori è importante invece ricordare che i voti valutano la preparazione, non sono giudizi sulla persona, né sull'operato delle famiglie. Un voto è una tappa e un indirizzo, non una sentenza. Viene dato da personale specializzato, preparato per questo, che pur con tutte le eccezioni agisce in modo professionale. Nessuno spiegherebbe, per tornare alle considerazioni con cui ho aperto, ad un chirurgo dove deve operare: allo stesso modo se qualcosa si rompe, l'automobile, un elettrodomestico, un vetro, andiamo da chi sa aggiustarlo, senza pretendere di spiegargli come, perché semplicemente non sappiamo farlo.

 

Invece tutti si sentono autorizzati a dire a un insegnante, dalla primaria in poi, quanti temi svolgere in un anno, come valutare un problema di geometria, quanti e che tipo di compiti assegnare, come spiegare un argomento che a scuola un figlio non ha capito, ma a casa sì, e benissimo. Chiunque si sente in grado di insegnare ad insegnare, ed è un enorme rischio. 

 

È importante ricordare, infine, che mentre un genitore ha un rapporto univoco col proprio figlio, un insegnante ce l'ha con una comunità di classe, dove le esigenze dei singoli si considerano necessariamente in un'ottica non peggiore, ma diversa. Se questa fiducia non si ristabilisce, se insisteremo tutti a voler avere ragione anziché a ragionare, la scuola continuerà ad essere solo un campo di battaglia, dove a vincere saranno i più aggressivi e maleducati, da una parte e dall'altra. Ma i perdenti, i morti e i feriti saranno troppi, come in tutte le guerre.


Federica Garzetti
Docente di lettere nella scuola secondaria di Primo grado al Collegio arcivescovile «Celestino Endrici» di Trento

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